17.8.04

La Guadeloupe è bella da fare male.
Sarà che nonostante la mia età ormai veneranda era la prima volta che mettevo il naso fuori dall’Europa, ma quando l’aereo è arrivato sopra Point à Pitre ed ha virato sul Gran Cul de Sac Marin per imboccare la pista di atterraggio nel verso giusto, il verde accecante della vegetazione, il bianco della sabbia, le mille sfumatura dall’azzurro tenue al blu intenso del mare mi hanno creato un groppo in gola e fatto salire le lacrime agli occhi. E non era per la gioia di essere sopravvissuta ad otto ore di volo.
Sono uscita dall’aeroporto dopo una attesa fibrillante del bagaglio (da quella volta che la mia valigia è rimasta a Malpensa mentre io ero a Praga sono un po' sospettosa riguardo allo smistamento bagagli) e un caldo umido mi ha accolto fra le braccia.
Ho seguito la folla e il direttore del centro ucpa pareva un vigile con la gotta che smista il traffico in centro Milano sotto le feste di Natale. Mi ha sbraitato contro se ero con l’ucpa e dove dovevo andare. Ho balbettato che dovevo andare in kayack e lui con fare sgarbato mi ha indicato un tizio in disparte. Il tizio in questione, capelli biondi lunghi, scalzo, reggeva in mano una pagaia alla quale era attaccato un elenco di 4 nomi. Poco a poco la compagnia si è riunita, le presentazioni sono state fatte e ci siamo stipati tutti in un 4x4 diretto a Port Louis. Joel (l’accompagnatore biondo), Regis, Caroline e Sophie sono tutti francesi e nonostante le promesse di parlare "doucement" sparano parole a raffica. Io sono seduta dietro e capisco una parola su 5. Non sono preoccupata, il mio sguardo è attratto magneticamente da ogni dettaglio che appare nel finestrino. Le palme da cocco, da mango, i banani, l’albero del pane. Le mucche dall’aria stanca che legate per le corna se ne stanno al pascolo sotto un sole da 40 gradi. Gli assurdi cimiteri con le tombe a casetta piastrellate in bianco e nero. Sono dall’altro capo del mondo e non mi sembra possibile.

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