26.7.10

Ritorna la rubrica Provati per Voi e in grande spolvero con ben tre recensioni su un unico tema: dove pucciare le stanche membra a Milano e paraggi negli afosi finesettimana estivi prima delle vacanze.

Opzione uno: il lago di Monate.
Consigliato dal collega giovane.
Ora per i liguri che se non vanno in spiaggia sono abituati alle pozze formate dai ruscelli, andare al lago puo' sembrare una eresia. Soprattutto se comunque si deve spostare la macchina e mettersi in autostrada.
A discolpa si puo' dire che i 60 km per raggiungere il lago, comparati ai 140 km necessari a raggiungere il mare, già sono un incentivo, se poi si evita di incolonnarsi sulle autostrade dei dannati A7-A10, l'incentivo raddoppia.
Il lago di Monate è di origine glaciale, pare sia uno dei laghi più puliti d'Italia, non ci sono industrie pesanti che scaricano sostanze tossiche e la navigazione a motore è vietata. Per quale strano motivo ci sia un divieto di balneazione proprio nel tratto di lago che ho scelto per la mia puccia rinfrescante non è dato sapere. Tra l'altro il divieto è poco pubblicizzato e tutti si cacciano in acqua con grande voluttà senza conseguenze visibili almeno nell'immediato.
Io e il Marito abbiamo scelto una delle spiaggette attrezzate con prato, sabbia, campo da beach volley, lettini e quant'altro, c'è anche il ristorante e se ci si ferma alla sera c'è l'happy hour. Poca gente schiamazzante, tanti abitanti del posto. L'unica pecca è il divieto di balneazione non segnalato e l'ingresso non esattamente popolare.

Opzione due: Ondasplash
Consigliato dal padre di famiglia.
Bereguardo è a un tiro di schioppo e in caso la A7 fosse troppo congestionata si puo' fare la statale.
Pensavo fosse una piscina invece era... un calesse, anzi un parco acquatico.
Organizzato bene con ampio parcheggio (a pagamento), ha una vasca grande che da h 10 cm finisce ad altezza 2m in cui a ore stabilite viene generato un moto ondoso. Una vasca per nani urlanti. Degli scivoli che finiscono in vaschettine strette e profonde e se non ti togli in fretta qualcuno ti piomba sulla testa.
C'è lo spazio lettini e ombrelloni con la sabbia per fingere di essere al mare e poi prato verde.
Arrivando c'è preso un coccolone per la coda ed anche entrando ad una prima occhiata il panico si è impossessato di noi, dopo una rapida esplorazione però allontandoci dal bordo vasca siamo finiti in un area snobbata dai più dove abbiamo soggiornato tranquillamente per la giornata avendo a disposizione ombra e sole e spazio a sufficienza per svaccarci senza bambini molesti e adolescenti inquieti nei paraggi.
Per fare il bagno bisognava fare una passeggiata e a bordo vasca si poteva sentire l'animazione del Merendero - il dj della piscina - che fra un Heidi e una Waka Waka reclamizzava le pizzerie e le shampiste della zona, per fortuna l'effetto pastina in brodo con la gente ammassata svaniva non appena superato il limite dei 2 m di profondità , una volta raggiunto il centro della piscina si poteva restare a galleggiare a morto ad libitum.
Prezzo dell'ingresso esagerato (13€), diffidare sempre dei consigli dei padri di famiglia a meno di non appartenere alla categoria.

Opzione tre: la piscina comunale di Buccinasco
Sconsigliata da: l'insegnante di pilates
E' una normalissima piscina, con qualche metro quadrato di prato all'esterno per cui prima o dopo essersi cimentati con il nuoto, ci si puo' rosolare al sole in tranquillità. Non so come sia nei giorni torridi, nei giorni ventilati si sta bene e la magia è che le vasche sono semideserte e si puo' nuotare con estrema tranquillità. Ottimo rapporto qualità prezzo se si va solo per il pomeriggio (5,5 €), peggio se si entra la mattina perchè è necessario fare il biglietto intero (8€).

20.7.10

Se niente importa
Ho finito il libro di Foer domenica e ancora ci sto rimuginando su, nonostante ne abbia già scritto una recensione minimale su anobii.
Se niente importa non è un romanzo, ma non è nemmeno un vero libro di inchiesta perchè a parti estremamente dettagliate riguardanti l'allevamento intensivo si mescolano riflessioni personali, memorie di famiglia e racconti rielaborati di esperienze di lavoratori agricoli.
La spinta di Foer a indagare sulla produzione industriale di carne e sulle alternative possibili, nasce dall'esigenza di fare una scelta consapevole in tema di alimentazione per il figlio.
Il lavoro di indagine è durato tre anni e lo ha portato alla scoperta degli estremi della catena, dall'allevamento industriale totalmente inumano ai ranch modello della produzione sostenibile.
Sebbene le conclusioni di Foer lo portino a sostenere l'opzione vegetariana, non è un libro sulla dieta vegetariana. Essere consapevoli dell'impatto ambientale che ciò che mangiamo ha sul mondo circostante e delle conseguenze sulla nostra salute è auspicabile per chiunque, a prescindere dalla dieta che sceglie di seguire.
Sarebbe interessante un lavoro di indagine simile orientato all'allevamento industriale con standard europei e per capire quali siano le produzioni virtuose di carne in Europa e in Italia.
Sarebbe ancor più interessante che anche il mondo della produzione della soia e delle proteine vegetali normalmente consumate in una alimentazione vegetariana venisse esaminato oggettivamente e senza pietà.
La decisione di non mangiare più carne l'ho presa perchè ho fatto una promessa a il Marito, quando qualcuno vuole attirarmi nel tranello della conversazione "perchè i pesci non hanno una coscienza? e gli spinaci non soffrono quando li sradichi?" lo zittisco dicendo che l'ho fatto per amore. Stranamente è una giustificazione socialmente più accettabile che dire l'ho fatto per la mia salute, per l'ambiente o per ragioni morali. Questo la dice lunga sulla scarsa oggettività con cui si affronta il tema alimentazione.
Questo libro non sarà risolutivo, ma sicuramente è un buon punto di partenza per iniziare a porsi delle domande. Consigliatissimo a tutti.

2.7.10

Anche questo riciclone di quanto scritto sul faccialibro.
Il guardiano del faro
Lo conosciamo il giorno della fallita caccia all'alba, dopo esser stati scacciati dalla location vicino al cimitero, quando decidiamo di salire fino al faro per vedere se offre una buona visuale dell'alba sulla città.
Appurato che la vista a Est è aperta Mao – vista la brutta esperienza da cui siamo reduci – gli domanda se è possibile salire al faro verso le sei del mattino e restare lì a riprendere il sole che sorge. Lui non ha controindicazioni e dice che avvertirà il collega che presta servizio notturno dal momento che lui arriva alle sette. Chiede una mancia per entrambi.
Lo rivediamo dopo due giorni, lo vediamo sbucare a piedi da dietro la curva che porta al piazzale del faro. Ci dirà che abita a Ouakam e che viene al lavoro prendendo un ndiaga ndjae.
E' originario della Casamance, ha moglie e un figlio -uno solo perchè la vita è cara - che sono laggiù.
Prima di essere assunto dalla società che si occupa della sicurezza al faro, lavorava come autista per una ditta belga. Non guadagnava male e poteva mantenere moglie e figlio a Dakar, poi la ditta ha chiuso e si è ritrovato per strada. Ha rimandato la famiglia al villaggio e ha trovato lavoro come guardiano del faro. E' dura -ci spiega- perchè ha un solo giorno di riposo alla settimana il giovedì e l'orario di lavoro è lungo. Qui a Dakar è in compagnia dei suoi fratelli, hanno affittato una stanza ciascuno in un appartamento. Uno dei fratelli sta studiando, l'altro lavora anche lui come guardia per una società che si occupa della sicurezza negli ospedali.
La famiglia la vede una volta ogni due mesi, quando ha soldi a sufficienza per tornare.
Mao gli chiede cosa ne pensa del monumento del rinascimento africano e lui esordisce dicendo che costruire i monumenti è una cosa buona, ma che spendere miliardi di soldi pubblici per un monumento senza senso, in un paese dove molta gente non ha lavoro ed anche chi lavora fa fatica a mantenere la famiglia è una cosa stupida, non è giusto. “Ce monument c'est zero!” è il commento letterale.
Poi Mao gli chiede cosa pensa del movimento indipendentista della Casamance e se ha mai conosciuto qualcuno che ci abbia militato.
Lui non è d'accordo sull'indipendenza, dice che se si facessero investimenti per sfruttare la ricchezza della regione, tutto il Senegal ne guadagnerebbe. Ci dice che con i soldi spesi per costruire la statua si sarebbero potuti costruire molti bacini idrici per evitare le inondazioni nel periodo delle piogge e consentire alla gente di continuare a lavorare anche in quei mesi.
Invece la Casamance viene sfruttata come una riserva, i manghi ad esempio vengono raccolti ancora verdi e portati a Dakar, un mango che al paese di origine costa 25 cfa, una volta arrivato in città arriva a costarne 300 e chi li coltiva ci guadagna pochissimo.
Dice che ha conosciuto una sola persona che ha è andata nella giungla per unirsi alla guerriglia, era una promessa del calcio e se non l'avesse fatto magari adesso starebbe giocando ai mondiali, invece ha deciso di unirsi alla lotta armata.
Mao gli domanda se fa ancora parte dei guerriglieri, ma lui dice che no è stato ammazzato dopo pochi mesi, forse un anno, durante una retata dell'esercito. Uno dell'esercito ha poi riconosciuto il cadavere ed ha avvertito la famiglia così – se non altro – ha potuto avere una degna sepoltura.
Quando ce ne andiamo Mao gli lascia dei soldi e lui ringrazia dice che per lui è una grande cosa. Poi aggiunge che comunque i soldi non sono la cosa che conta e che della giornata la cosa che si porterà a casa è l'averci conosciuto ed avere parlato con noi.
Questi sono un riciclo di cose che avevo già messo sul faccialibro, però visto che non tutti i miei lettori sono amici sul faccialibro riporto anche qui.
Le taximan
Saliamo sul suo taxi domenica pomeriggio per andare al mare.
La macchina è insolitamente in ordine, i vetri sono interi, entrambe le portiere posteriori funzionano, non ci sono segni evidenti di tamponamenti.
All'interno la pulizia regna sovrana, anche il pupazzo a forma di pinguino che dondola appeso allo specchietto retrovisore è nuovissimo e si divide lo spazio con l'immancabile foto del marabout e con un arbre magic a stelle e strisce a forma di pala.
Mao gli domanda se il taxi è suo e per la prima volta dopo tanto tempo si sente rispondere di sì.
Ha 35 anni ed è quello che potremmo definire un piccolo imprenditore. Aveva un taxi vecchio e l'ha venduto, ha fatto un prestito con la banca e ne ha comprato uno nuovo. Lo guida solo lui perché non vuole problemi e sa che l'unica persona che si cura veramente di una auto è il suo proprietario.
Lavora parecchie ore al giorno, ogni giorno si pone un obiettivo e fino a che non l'ha raggiunto continua a fare corse.
Guadagna bene, circa 200.000 cfa al mese, a volte di più. Parte dei soldi vanno alla banca a copertura del prestito, con quello che gli rimane oltre a pagarsi il cibo e l'affitto, aiuta la famiglia.
Non manda semplicemente il denaro a casa, ma acquista montoni per l'allevamento che fa gestire ai fratelli. In questo modo dà lavoro e un futuro al resto della famiglia. Quando finirà di rimborsare il prestito ha intenzione di comprare un altro taxi, in modo da ampliare il suo giro di affari.
Ci viene a recuperare alla spiaggia dopo qualche ora e mentre ci riporta verso casa ci indica alcuni taxi nuovi , auto giapponesi o coreane, quelle - ci dice – sono una truffa delle banche.
La banca per acquistarli ti fa un prestito di 9 milioni di cfa e molti pensano che con quella macchina faranno molta strada e riusciranno a ripagarla. In realtà le macchine nuove sono troppo deboli per le strade accidentate di Dakar e rischiano di rompersi prima che uno sia riuscito a ripagare il prestito, lasciando il malcapitato con un debito gigantesco sulle spalle e nessuna possibilità di rimborsarlo.
Ha quello che manca a molte persone qui in Senegal, spirito di iniziativa e senso pratico. Farà della strada.