28.12.10

Xmas Gifts
E come da tradizione il post sui regali di Natale con relativo anneddoto.
Come previsto anche Little Monster - sebbene ancora gelosamente custodito nella mia panza - ha iniziato a ricevere i suoi regali di Natale. Per fortuna però i doni a me indirizzati - e che ho molto apprezzato - erano ancora quasi tutti della tipologia regalo per giovane(?) donna e non regalo per giovane(?) mamma.
E dopo questa premessa, via di elenco:
- portafoglio nero
- borsa nera + portafoglio porta cellulare nero
- libro di Somerset-Maughan "Il filo del rasoio"
- libro a fumetti "Taglia e cuci" di Marjane Satrapi
- cornice digitale
- svariate confezioni di olio di mandorle dolci
- smartphone nokia N97 con relativa custodia... nera
E sull'ultimo graditissimo dono, ecco l'anedotto che dimostra come forse l'epiteto giovane non mi si confaccia troppo.
In ufficio di rientro dalle ferie, una suoneria stile vecchio telefono a rotella nero inizia piano e poi cresce di intensità.
Io lievemente infastidita alzo gli occhi dalla tastiera domandandomi perchè cavolo nessuno si decida a rispondere.
Improvvisamente realizzo che quel suono fastidioso - "ma chi cazz ha messo sta cavolo di suoneria ?" è stato il primo pensiero - proviene dalla mia borsa.
Estraggo - non senza fatica - la custodia dalla borsa e il telefono dalla custodia, dopodiché rimango inebetita a domandarmi come diavolo si risponda dal momento che essendo touch screen non ci sono tasti in vista.
Nel frattempo il telefono smette di squillare ed io mi domando se a caua delle mie ridotte capacità mentali, non sia meglio ripristinare il vecchio 3310.

14.12.10

Run run run
Pare che in un modo o nell'altro passati i 35 sia impossibile sottrarsi al richiamo della corsa. O almeno questo è quel che capita qui nella grande pera e nelle zone limitrofe.
Essendo una fanciulla che cade facilmente vittima delle mode e delle suggestioni ed avendo iniziato a flirtare con il mondo del running prima dei 35 - senza peraltro mai arrivare al sodo - non mi sottraggo a questa legge.
Quest'anno quindi - esaltata da esperienze quali la corsa in notturna per le vie di una Milano deserta o la corsa campestre all'interno del parco delle Cave - addirittura sono arrivata a comprare scarpe specifiche.
L'arrivo dell'erede e il levitare della pancia però hanno interrotto - anche questa volta - gli allenamenti sul nascere.
L'altro giorno comunque, abbigliata di tutto punto, sono scesa sul naviglio per una camminata di passo sostenuto riconfermando che nella categoria pensionati con triplo bypass sono una scheggia.

13.12.10

La carità cristiana
Sabato scorso, visto l'approssimarsi delle feste e la necessità di rimpinguare i fondi, con la associazione abbiamo organizzato un aperitivo musicale natalizio.
Il programma della serata prevedeva esibizione di un coro con repertorio di canzoni di Natale da tutto il mondo e a seguire un aperitivo per scambiarsi gli auguri di buone feste.
Per l'occasione abbiamo affittato il teatro di un oratorio non troppo distante dal nostro locale. Da un lato per pigrizia, dall'altro per non venir meno al proposito di svolgere attività in quartiere.
Il complesso in cui si trova l'oratorio occupa un intero isolato e consta di una chiesa in mattoncini rossi di dubbio gusto, il complesso dell'oratorio con svariati edifici fra cui il teatro ed infine un complesso sportivo in cui si suppone si giochi a calcio (a giudicare dalle urla beduine che si sentono la sera), ma che ci sia anche posto per la ginnastica dolce, vista la processione di vecchiette in tuta da ginnastica che si intruffola nel centro la mattina. In più si vocifera che il campo incolto (di superficie pari a quella di tutto il complesso) che si trova dall'altro lato della strada, appartenga comunque alla parrocchia.
Il lungo preambolo per dire che non è esattamente una realtà disagiata che necessita di fondi e offerte per il suo sostentamento. Nonostante questo i prezzi dell'affitto del teatro sono tutt'altro che popolari e solo dopo lunga trattiva e meticolosa contrattazione delle clausole "la quota include la quota non include", si è giunti ad un accordo che soddisfacesse entrambe le parti.
Il primo impatto con gestore del teatro comunque non è stato dei migliori, "perchè siete a questo ingresso? Nel contratto al capoverso 25 in font 1,5 c'è chiaramente scritto che il personale tecnico e gli artisti devono accedere dall'ingresso posteriore e che quello anteriore sarà aperto solo quando arriva il pubblico", "no la luce dei bagni del pubblico le accendo solo quando arriva il pubblico" e via di seguito. In tutto questo, nella mia veste di regista della serata e pr, mantenevo una certa calma olimpica, mentre la mia socia - con un passato da scout e frequentazioni della parrocchia pià assidue delle mie - si lasciava scappare "e questa è la Chiesa", esacerbando ulteriormente i non facili rapporti.
La ciliegina sulla torta comunque aveva da venire. Quando finalmente l'ingresso principale veniva aperto al pubblico e gli spettatori cominciavano ad affluire, ecco che un vociare concitato si levava dall'atrio.
Intervenuta sul posto trovavo due parrocchiane imbellettate ed impellicciate furiose perchè sulla locandina dell'evento non era scritto a chiare lettere che l'evento era a pagamento e quale fosse l'importo da versare.
A nulla valevano le spiegazioni sul fatto che l'evento fosse organizzato per beneficienza che sulla locandina era comunque presente il numero di telefono a cui richiedere informazioni: la signora più agguerrita gridava al dolo e alla malafede.
La signora più impellicciata e ingioiellata invece mi spiegava che nel portafoglio non aveva che metà della cifra richiesta e che avendolo saputo si sarebbe premunita, ma che così non se la sentiva di andarli a recuperare e poi tornare indietro.
Grazie al cielo la proposta di una socia alle signore di entrare come ospiti dell'associazione veniva sgarbatamente rifiutata dicendo "non siamo mica accattone", che se tanto mi dà tanto avrei trovato le vecchie fameliche attaccate al buffet e lì non so se sarei riuscita a mantenere la calma o gli avrei tolto il cappellino a suon di schiaffoni.

1.12.10

No niente, sembra che qui ci sia la catalessi... in realtà stanno succedendo un sacco di cose belle... solo che per scaramanzia e pudicizia le scrivevo in incognito qui.

21.10.10

G. - stasera serata single... anche domani sera.... pensandoci bene anche ieri sera!
Collega - mmm ... c'è forse qualcosa che vuoi dirci? Sei ancora sposata?

19.10.10

A piedi (nudi?) nel parco: dei divieti e delle corse sotto la pioggia.
Funziona sempre così, non appena so di non poter fare una cosa improvvisamente vengo presa da una irrefrenabile voglia di farla, se fossi vissuta durante il proibizionismo probabilmente sarei finita alcolizzata.
In base a questo meccanismo, nonnostante le condizioni meteo avverse del primo weekend di freddo autunnale, nonostante lo scarso allenamento, nonostante quindi il letto e un gatto sulla pancia fossero l'opzione più consigliabile fra quelle disponibili su come trascorrere la domenica mattina, ho pensato bene di alzarmi vestirmi ed andare al Parco delle Cave per la GreenRace Ecorunning.
Essendo la 10 Km agonistica - grazie al cielo - il pensiero folle di iscrivermi è stato accantonato per cause di forza maggiore. Ho quindi ripiegato sulla corsa per famigliole, un anello di 2km attorno alla cava Cabassi.
Le foto dell'evento mi ritraggono in una situazione in stile Aldo Giovanni e Giacomo in Tre Uomini ed una gamba in cui io unica adulta impegnatissima corro in mezzo ad una torma di bambini in fasce.
2 km in mezzo al verde percorsi in dodici minuti e in regalo 1 maglietta verde dell'evento, una matita, una pianta di violette, un kinder brioss e un estathè. Alla fine un bel modo di passare la domenica mattina, peccato per la pioggia.

1.10.10

Le cose che amo di Milano
[ post dedicato a erbasalvia e a lise]
Di Milano amo i Navigli, che sono la mia zona, la mia porta di ingresso alla città. Soprattutto quello grande alla mattina presto, quando ancora non è invaso dalla folla dei turisti, la luce rosa dell'alba illumina le case su di un lato e sembra quasi di essere in una dimensione parallela.
Amo Porta Genova e il ponte in ferro sulla ferrovia, via Savona e via Tortona e il pasticcere / cioccolataio di piazza del Rosario, che ormai non ci passo più, ma le scorzette di arancio ricoperte di cioccolato fondente ancora me le sogno.
Mi piacciono i negozi di corso San Gottardo e piazza Tito Lucrezio Caro con il Forma e il mercato bellissimo del sabato mattina.
Mi piace la via del bar Rattazzo d'estate quando è piena di gente e puoi fare l'aperitivo con una moretti seduto fuori dall'indiano alla faccia degli aperitivi vip sui Navigli e mi piace passare dalle colonne anche se sono affollate e rumorose.
Dentro Sant'Eustorgio non sono mai entrata, ma la California Bakery di sicuro è uno dei miei posti.
Amo la chiesa di San cristoforo con il ponte di ferro che attraversa il Naviglio e se non fossi miscredente e già sposata, vorrei sposarmi lì con un bell'abito bianco da principessa.
Con scarsa fantasia amo Sant'Ambrogio con i suoi mattoni rossi e la vista che si coglie fra le guglie del duomo, soprattutto nei giorni di cielo terso.
Amo Baggio, la parte vecchia al fondo di via delle forze armate, via due giugno e piazza anita garibaldi, la biblioteca grande e luminosa e il parco che c'è lì intorno.
Amo corso Venezia con le sue case imponenti e strane che se non ti prendi del tempo per guardare i dettagli e sbirciare dietro ai portoni potresti non accorgerti mai dei segreti che nascondono e le vie dietro a Porta Venezia, la casa liberty di via malpighi e il quartiere lì intorno nel suo complesso.
Amo Milano di notte, via Torino finalmente vuota e con i negozi chiusi, lo sferragliare dei tram sulle rotaie e l'intrico delle linee elettriche in cielo agli incroci.
Amo il Milano Film Festival con la sua atmosfera rilassata e i film a prezzi popolari e i registi che si aggirano in mezzo al pubblico e che si fermano a chiaccherare.
E i Teatri di Milano, il Libero arrampicato all'ultimo piano di un palazzo con le stelle disegnate sul soffitto, il teatro delle erbe, che ormai non c'è più e non ho ancora avuto il coraggio di guardare che cosa c'è al suo posto, il Teatro Studio e la Comuna Baires.
E poi Garibaldi la notte con i grattacieli illuminati, via Pastrengo e il teatro Verdi e poi il frieda là dietro.
Son zeneise e se ghe penso allôa mi veddo o mâ, ma dopo dieci anni che sono qui posso dire che anche Milano è la mia città.

24.9.10

Anestetico per cavalli & corse al chiaro di luna

Ricordo perfettamente una delle prime conversazioni fra l'allora Futuro Marito e mia madre i quali - approfittando del fatto che mi ero allontanata dalla stanza e senza tenere conto del mio udito bionico quando si sparla di me - convenivano sul fatto che ogni tanto ci sarebbe bisogno dell'anestetico per cavalli per sedare la mia iper attività. Per quanto inizialmente piccata da questo sodalizio, mi tocca ammettere che probabilmente avevano ragione.
Questa premessa per dire che nessuno si puo' stupire del fatto che io questa mattina abbia ritenuto normale puntare la sveglia alle quattro , alzarmi nelle tenebre senza svegliare gatto e Marito profondamente addormentati , indossare braghette e maglietta traspirante - più un notevole altro strato di abiti atti ad evitare il congelamento - saltare in moto e dirigermi verso il centro di Milano dove era in programma la 5.30 run, una corsa per le vie della città addormentata.
Che nell'aria ci fosse un'atmosfera particolare l'avevo capito già all'altezza di piazzale Negrelli dove avevo schivato due runner impavidi che puntavano in direzione Duomo e ne avevo avuto ri conferma minuto dopo minuto quando avevo iniziato a perdere il conto dei podisti che sbucavano da ogni dove e convergevano verso la madonnina richiamati da un invisibile segnale.
C'è da dire che io sono una runner della domenica, anzi nemmeno, al massimo potrei aspirare al titolo di runner della prima domenica del mese e che quindi il mondo dei podisti seri -quelli, per intenderci, che si allenano tre volte a settimana, fanno le gare la domenica, vanno per il mondo a fare maratone - l'avevo sempre visto da lontano. Principalmente tramite i racconti di amici e colleghi più introdotti nel giro.
Ma come spesso accade fino a che non ci sei dentro non puoi veramente capire. L'entusiasmo e la pazzia latente di mille persone che all'alba convergono nel cuore della città a piedi, in bici, in moto chi con la maglietta arancio d'ordinanza, chi con quella della società sportiva, chi vestito da gran sera chi in pigiama o camicia da notte, chi con le orecchie da coniglio luminose, chi con strani copricapi, tutti uguali, tutti insieme anche i cosìdetti famosi (cosìdetti per me che a parte Linus non avrei riconosciuto nessuno se non avessi avuto i sottotitoli).
Pare che tutti conoscano tutti, un po' come accade sui sentieri in montagna o in falesia, e tutti si scambiano informazioni e notizie sulle imprese più recenti.
Improvvisamente la pazzia - quella sana che fa fare cose strambe, ma divertenti - è la condizione normale del microcosmo in cui si è immersi e ci si sente bene e liberi.
Poi c'è l'emozione di far parte di una macchina pulsante ed in movimento e quella di correre per le strade deserte e soprattutto, per me, quella, con i miei tempi e con il sostegno morale del matto che mi ha tirato dentro all'iniziativa, di portare a termine tutto il giro.

23.9.10

Ho notato pericolose analogie fra come riesco a farmi fregare dalle commesse in profumeria e come ieri il meccanico, in occasione del primo tagliando dell'auto, sia riuscito a rifilarmi un kit di bellezza per il cruscotto e le maniglie dell'auto, l'additivo per la benzina e la igienizzazione dell'abitacolo della vettura.
Le analogie peraltro non finiscono qui, dopo aver comprato in profumeria uno scrub puzzolentissimo alle spezie dell'India - di cui probabilmente la commessa non vedeva l'ora di liberarsi - adesso la mia Yaris dopo la igienizzazione puzza terribilmente di dentifricio alla salvia.
Imparerò mai dai miei errori?

6.9.10

Attendere prego
Settembre è il mese degli inizi, l'imprinting della scuola è duro a morire e così -come in ogni inizio d'anno che si rispetti - ci si arma di quanderno e penna ed si inizia a buttar giù liste, pianificare, fare buoni propositi. Perchè se dicembre è il momento per fare bilanci, settembre è quello per fare progetti.
Sarà che invecchio, ad agosto gli anni sono diventati 35 e ormai galoppo a spron battuto verso i 40, sarà che la scuola ormai l'ho finita da un pezzo, sarà che le vacanze non sono mai abbastanza lunghe e abbastanza rigeneranti, fatto sta che quest'anno il mio inizio settembre è caratterizzato da una sensazione di stand by.
Ho quadernetti bianchi, penne colorate e l'agenda moleskine rossa che mi guardano in attesa che io mi decida a compilare una @to do list qualsiasi, da disattendere sistematicamente di giorno in giorno. Una lista per avere una sensazione di meticolosità anche nell'indolenza del non fare. Eppure non mi decido.
Sto ai margini delle routine quotidiana dove anche programmare la lavatrice dei bianchi e dei colorati o decidere cosa cucinare per cena, sembra uno sforzo sovraumano.
Che io sia prossima ad una mutazione genetica e pronta per entrare in letargo? In caso, risvegliatemi al disgelo.

1.9.10

Quasi fuori tempo massimo, ma comunque prima di panettoni torroni dolcetti e scherzetti, un breve(?) sunto delle vacanze estive 2010.

Premessa: lo scorso anno mentre affetta da attacco di sciatica acuta scorrazzavo per gli USA a bordo della Pontiac G5 a noleggio, ho proferito le seguenti parole "l'anno prossimo voglio stare spalmata su di una spiaggia per 20 giorni, 10 a faccia in giù 10 a faccia in su".
Quest'anno al momento di scegliere la meta delle vacanze ho quindi iniziato a considerare varie località di mare in cui affittare una casa a prezzo ragionevole per passare una vacanza da pensionati. Il processo per cui da una vacanza in casa al mare si sia pasati ad una vacanza itinerante in tenda, mi è del tutto ignoto, ma il Marito sostiene che non aveva dubbi in proposito.

Statistiche:
3123 km percorsi in 14 giorni
città visitate: Trieste, Rijeka, Trogir, Split, Ston, Dubrovnick, Sibenik, Zadar, Rovinji, Porec.
campeggi + alberghi sperimentati : 5 + 1
soldi spesi a cranio: 660 neuri circa

Impressioni:
Trieste ha una luce bellissima. Sarà che il centro e la piazza principale sono affacciate direttamente sul mare, che gli edifici sono in pietra bianca, che subito dietro c'è il verde del carso, sarà la posizione geografica, sarà che in vacanza uno ha tempo per notare queste cose, ma una luce bella come a Trieste non l'ho mai vista.
Tra l'altro leggere il libro "Trieste sottosopra" prima della partenza ed avere degli amici autoctoni con cui andare a cena una sera ci ha fatto vivere la città più dal di dentro e ad esempio sdraiati sul pavè della barcola ad arrostire come sulla graticola per poi buttarsi in mare e rinfescarsi ci siamo sentiti un po' triestini.
I laghi di Plitvice sono una meraviglia della natura, valgono sicuramente la coda e il prezzo del biglietto e - anche se quell'azzurro intenso le cascate e il verde della vegetazione sono un richiamo quasi irresistibile e vedendoli vorresti buttarti in acqua e fonderti con l'ecosistema - è giusto che la balneazione sia vietata e che i turisti siano diligentemente tenuti in coda sul sentiero. Tra l'altro l'osservazione della fauna del visitatore tipo (soprattutto quello giapponese) è anch'essa molto interessante.
Split o meglio il centro storico contenuto all'interno delle mura di quello che è stato il palazzo di Diocleziano è una piccola Roma, con meraviglie e reperti archeologici ad ogni passo. Solo che qui le vestigia delle diverse epoche si fondono armonicamente le une con le altre e i resti del passato non sono monumenti, ma una parte viva della città.
Ston è un piccolo paesino su una delle mille pensisole della Croazia. Ospita le saline più antiche di tutta Europa ed una muraglia difensiva della lunghezza di 5 km che collega il centro abitato con il porto che con le dovute proporzioni è stata ribattezzata la muraglia cinese della Croazia. E' anche famosa per l'allevamento di cozze ed ostriche e se ci passate è altamente consigliato mangiare pesce in uno dei ristorantini del centro, è buonissimo e costa poco.
Trogir è una piccola città gioello con carruggi stretti, case bianche, tramonti stupendi. Pare sia stata scelta come set per diversi film, ma per apprezzarne l'atmosfera probabilmente bisognerebbe tornarci tipo a novembre all'alba, nella speranza di trovarla deserta.
Dubrovnik non ci ha accolto bene, con un addetto al parcheggio particolarmente scorbutico che unito alla pioggerella di inizio mattina mi ha fatto pensare che se i miei 35 anni inizivano così, insomma non sarebbe stato un anno particolarmente fortunato.
Anche qui strade bianche e liscissime, carruggi in salita pieni di scale, tegole rosse e gialline che viste dall'alto delle mura creano geometrie bellissime da vedere, un mare blu intenso che cinge le mura e ti inviterebbe a tuffarti. E' una città cara dove una birra ed un panino costano quasi come a Milano ed anche qui la folla si muove compatta dandoti un po' l'impressione di essere in coda alla slunga.
Sibenik l'abbiamo vista di sera e la cattedrale con le sculture di Giorgio il Dalmata l'abbiamo apprezzata solo dall'esterno illuminata dalle luci al tungsteno che conferivano a tutta la città quell'aspetto un po' seppiato che ne aumentava il fascino.
Zadar ha la classica struttura romana con cardo e decumano e le vie perpendicolari una all'altra e un immenso foro (inteso nel senso di piazza) che sia apre nel centro. Per entrare nella cattedrale ho dovuto estrarre tutte le pashmine che avevo nello zaino e drappeggiarmele addosso creando una gonna ed uno scialle perchè -incredibile a dirsi- all'ingresso c'era un sagrestano con la pettorina adetto a far rispettare il dress code e canotta e calzoncini decisamente non rientravano nell'elenco degli abiti ammessi.
Rovinji ci ha respinto, affollatissima, piena di italiani, con la coda fuori dai ristoranti e i camerieri sgarbati che non ti degnavano. Ci siamo stati solo una sera a cena e poi non siamo più tornati nonostante ne avessimo tutto il tempo.
In compenso siamo stati in gita a Porec per vedere la basilica eufrasiana, patrimonio nazionale dell'Unesco, di cui la guida diceva meraviglie tipo che è quasi impossibile non farsi prendere dalla sindrome di Stendhal mettendoci piede dentro. La basilica è decisamente molto bella e siamo riusciti a visitarla la mattina presto quando ancora non era affollata. Sono belli i mosaici e la commistione fra "nuova" basilica e l'edificio sul quale è stata costruita, non sono stata colta da nessuna sindrome però. Forse chi ha scritto la guida non era mai stato a Monreale a Palermo.
E Rijeka? Ci abbiamo passato un'oretta scarsa appena varcato il confine in cerca di un cambia valuta e di qualcosa da mangiare. Ordinata e graziosa, ma non mi è rimasta nel cuore.

26.7.10

Ritorna la rubrica Provati per Voi e in grande spolvero con ben tre recensioni su un unico tema: dove pucciare le stanche membra a Milano e paraggi negli afosi finesettimana estivi prima delle vacanze.

Opzione uno: il lago di Monate.
Consigliato dal collega giovane.
Ora per i liguri che se non vanno in spiaggia sono abituati alle pozze formate dai ruscelli, andare al lago puo' sembrare una eresia. Soprattutto se comunque si deve spostare la macchina e mettersi in autostrada.
A discolpa si puo' dire che i 60 km per raggiungere il lago, comparati ai 140 km necessari a raggiungere il mare, già sono un incentivo, se poi si evita di incolonnarsi sulle autostrade dei dannati A7-A10, l'incentivo raddoppia.
Il lago di Monate è di origine glaciale, pare sia uno dei laghi più puliti d'Italia, non ci sono industrie pesanti che scaricano sostanze tossiche e la navigazione a motore è vietata. Per quale strano motivo ci sia un divieto di balneazione proprio nel tratto di lago che ho scelto per la mia puccia rinfrescante non è dato sapere. Tra l'altro il divieto è poco pubblicizzato e tutti si cacciano in acqua con grande voluttà senza conseguenze visibili almeno nell'immediato.
Io e il Marito abbiamo scelto una delle spiaggette attrezzate con prato, sabbia, campo da beach volley, lettini e quant'altro, c'è anche il ristorante e se ci si ferma alla sera c'è l'happy hour. Poca gente schiamazzante, tanti abitanti del posto. L'unica pecca è il divieto di balneazione non segnalato e l'ingresso non esattamente popolare.

Opzione due: Ondasplash
Consigliato dal padre di famiglia.
Bereguardo è a un tiro di schioppo e in caso la A7 fosse troppo congestionata si puo' fare la statale.
Pensavo fosse una piscina invece era... un calesse, anzi un parco acquatico.
Organizzato bene con ampio parcheggio (a pagamento), ha una vasca grande che da h 10 cm finisce ad altezza 2m in cui a ore stabilite viene generato un moto ondoso. Una vasca per nani urlanti. Degli scivoli che finiscono in vaschettine strette e profonde e se non ti togli in fretta qualcuno ti piomba sulla testa.
C'è lo spazio lettini e ombrelloni con la sabbia per fingere di essere al mare e poi prato verde.
Arrivando c'è preso un coccolone per la coda ed anche entrando ad una prima occhiata il panico si è impossessato di noi, dopo una rapida esplorazione però allontandoci dal bordo vasca siamo finiti in un area snobbata dai più dove abbiamo soggiornato tranquillamente per la giornata avendo a disposizione ombra e sole e spazio a sufficienza per svaccarci senza bambini molesti e adolescenti inquieti nei paraggi.
Per fare il bagno bisognava fare una passeggiata e a bordo vasca si poteva sentire l'animazione del Merendero - il dj della piscina - che fra un Heidi e una Waka Waka reclamizzava le pizzerie e le shampiste della zona, per fortuna l'effetto pastina in brodo con la gente ammassata svaniva non appena superato il limite dei 2 m di profondità , una volta raggiunto il centro della piscina si poteva restare a galleggiare a morto ad libitum.
Prezzo dell'ingresso esagerato (13€), diffidare sempre dei consigli dei padri di famiglia a meno di non appartenere alla categoria.

Opzione tre: la piscina comunale di Buccinasco
Sconsigliata da: l'insegnante di pilates
E' una normalissima piscina, con qualche metro quadrato di prato all'esterno per cui prima o dopo essersi cimentati con il nuoto, ci si puo' rosolare al sole in tranquillità. Non so come sia nei giorni torridi, nei giorni ventilati si sta bene e la magia è che le vasche sono semideserte e si puo' nuotare con estrema tranquillità. Ottimo rapporto qualità prezzo se si va solo per il pomeriggio (5,5 €), peggio se si entra la mattina perchè è necessario fare il biglietto intero (8€).

20.7.10

Se niente importa
Ho finito il libro di Foer domenica e ancora ci sto rimuginando su, nonostante ne abbia già scritto una recensione minimale su anobii.
Se niente importa non è un romanzo, ma non è nemmeno un vero libro di inchiesta perchè a parti estremamente dettagliate riguardanti l'allevamento intensivo si mescolano riflessioni personali, memorie di famiglia e racconti rielaborati di esperienze di lavoratori agricoli.
La spinta di Foer a indagare sulla produzione industriale di carne e sulle alternative possibili, nasce dall'esigenza di fare una scelta consapevole in tema di alimentazione per il figlio.
Il lavoro di indagine è durato tre anni e lo ha portato alla scoperta degli estremi della catena, dall'allevamento industriale totalmente inumano ai ranch modello della produzione sostenibile.
Sebbene le conclusioni di Foer lo portino a sostenere l'opzione vegetariana, non è un libro sulla dieta vegetariana. Essere consapevoli dell'impatto ambientale che ciò che mangiamo ha sul mondo circostante e delle conseguenze sulla nostra salute è auspicabile per chiunque, a prescindere dalla dieta che sceglie di seguire.
Sarebbe interessante un lavoro di indagine simile orientato all'allevamento industriale con standard europei e per capire quali siano le produzioni virtuose di carne in Europa e in Italia.
Sarebbe ancor più interessante che anche il mondo della produzione della soia e delle proteine vegetali normalmente consumate in una alimentazione vegetariana venisse esaminato oggettivamente e senza pietà.
La decisione di non mangiare più carne l'ho presa perchè ho fatto una promessa a il Marito, quando qualcuno vuole attirarmi nel tranello della conversazione "perchè i pesci non hanno una coscienza? e gli spinaci non soffrono quando li sradichi?" lo zittisco dicendo che l'ho fatto per amore. Stranamente è una giustificazione socialmente più accettabile che dire l'ho fatto per la mia salute, per l'ambiente o per ragioni morali. Questo la dice lunga sulla scarsa oggettività con cui si affronta il tema alimentazione.
Questo libro non sarà risolutivo, ma sicuramente è un buon punto di partenza per iniziare a porsi delle domande. Consigliatissimo a tutti.

2.7.10

Anche questo riciclone di quanto scritto sul faccialibro.
Il guardiano del faro
Lo conosciamo il giorno della fallita caccia all'alba, dopo esser stati scacciati dalla location vicino al cimitero, quando decidiamo di salire fino al faro per vedere se offre una buona visuale dell'alba sulla città.
Appurato che la vista a Est è aperta Mao – vista la brutta esperienza da cui siamo reduci – gli domanda se è possibile salire al faro verso le sei del mattino e restare lì a riprendere il sole che sorge. Lui non ha controindicazioni e dice che avvertirà il collega che presta servizio notturno dal momento che lui arriva alle sette. Chiede una mancia per entrambi.
Lo rivediamo dopo due giorni, lo vediamo sbucare a piedi da dietro la curva che porta al piazzale del faro. Ci dirà che abita a Ouakam e che viene al lavoro prendendo un ndiaga ndjae.
E' originario della Casamance, ha moglie e un figlio -uno solo perchè la vita è cara - che sono laggiù.
Prima di essere assunto dalla società che si occupa della sicurezza al faro, lavorava come autista per una ditta belga. Non guadagnava male e poteva mantenere moglie e figlio a Dakar, poi la ditta ha chiuso e si è ritrovato per strada. Ha rimandato la famiglia al villaggio e ha trovato lavoro come guardiano del faro. E' dura -ci spiega- perchè ha un solo giorno di riposo alla settimana il giovedì e l'orario di lavoro è lungo. Qui a Dakar è in compagnia dei suoi fratelli, hanno affittato una stanza ciascuno in un appartamento. Uno dei fratelli sta studiando, l'altro lavora anche lui come guardia per una società che si occupa della sicurezza negli ospedali.
La famiglia la vede una volta ogni due mesi, quando ha soldi a sufficienza per tornare.
Mao gli chiede cosa ne pensa del monumento del rinascimento africano e lui esordisce dicendo che costruire i monumenti è una cosa buona, ma che spendere miliardi di soldi pubblici per un monumento senza senso, in un paese dove molta gente non ha lavoro ed anche chi lavora fa fatica a mantenere la famiglia è una cosa stupida, non è giusto. “Ce monument c'est zero!” è il commento letterale.
Poi Mao gli chiede cosa pensa del movimento indipendentista della Casamance e se ha mai conosciuto qualcuno che ci abbia militato.
Lui non è d'accordo sull'indipendenza, dice che se si facessero investimenti per sfruttare la ricchezza della regione, tutto il Senegal ne guadagnerebbe. Ci dice che con i soldi spesi per costruire la statua si sarebbero potuti costruire molti bacini idrici per evitare le inondazioni nel periodo delle piogge e consentire alla gente di continuare a lavorare anche in quei mesi.
Invece la Casamance viene sfruttata come una riserva, i manghi ad esempio vengono raccolti ancora verdi e portati a Dakar, un mango che al paese di origine costa 25 cfa, una volta arrivato in città arriva a costarne 300 e chi li coltiva ci guadagna pochissimo.
Dice che ha conosciuto una sola persona che ha è andata nella giungla per unirsi alla guerriglia, era una promessa del calcio e se non l'avesse fatto magari adesso starebbe giocando ai mondiali, invece ha deciso di unirsi alla lotta armata.
Mao gli domanda se fa ancora parte dei guerriglieri, ma lui dice che no è stato ammazzato dopo pochi mesi, forse un anno, durante una retata dell'esercito. Uno dell'esercito ha poi riconosciuto il cadavere ed ha avvertito la famiglia così – se non altro – ha potuto avere una degna sepoltura.
Quando ce ne andiamo Mao gli lascia dei soldi e lui ringrazia dice che per lui è una grande cosa. Poi aggiunge che comunque i soldi non sono la cosa che conta e che della giornata la cosa che si porterà a casa è l'averci conosciuto ed avere parlato con noi.
Questi sono un riciclo di cose che avevo già messo sul faccialibro, però visto che non tutti i miei lettori sono amici sul faccialibro riporto anche qui.
Le taximan
Saliamo sul suo taxi domenica pomeriggio per andare al mare.
La macchina è insolitamente in ordine, i vetri sono interi, entrambe le portiere posteriori funzionano, non ci sono segni evidenti di tamponamenti.
All'interno la pulizia regna sovrana, anche il pupazzo a forma di pinguino che dondola appeso allo specchietto retrovisore è nuovissimo e si divide lo spazio con l'immancabile foto del marabout e con un arbre magic a stelle e strisce a forma di pala.
Mao gli domanda se il taxi è suo e per la prima volta dopo tanto tempo si sente rispondere di sì.
Ha 35 anni ed è quello che potremmo definire un piccolo imprenditore. Aveva un taxi vecchio e l'ha venduto, ha fatto un prestito con la banca e ne ha comprato uno nuovo. Lo guida solo lui perché non vuole problemi e sa che l'unica persona che si cura veramente di una auto è il suo proprietario.
Lavora parecchie ore al giorno, ogni giorno si pone un obiettivo e fino a che non l'ha raggiunto continua a fare corse.
Guadagna bene, circa 200.000 cfa al mese, a volte di più. Parte dei soldi vanno alla banca a copertura del prestito, con quello che gli rimane oltre a pagarsi il cibo e l'affitto, aiuta la famiglia.
Non manda semplicemente il denaro a casa, ma acquista montoni per l'allevamento che fa gestire ai fratelli. In questo modo dà lavoro e un futuro al resto della famiglia. Quando finirà di rimborsare il prestito ha intenzione di comprare un altro taxi, in modo da ampliare il suo giro di affari.
Ci viene a recuperare alla spiaggia dopo qualche ora e mentre ci riporta verso casa ci indica alcuni taxi nuovi , auto giapponesi o coreane, quelle - ci dice – sono una truffa delle banche.
La banca per acquistarli ti fa un prestito di 9 milioni di cfa e molti pensano che con quella macchina faranno molta strada e riusciranno a ripagarla. In realtà le macchine nuove sono troppo deboli per le strade accidentate di Dakar e rischiano di rompersi prima che uno sia riuscito a ripagare il prestito, lasciando il malcapitato con un debito gigantesco sulle spalle e nessuna possibilità di rimborsarlo.
Ha quello che manca a molte persone qui in Senegal, spirito di iniziativa e senso pratico. Farà della strada.

25.6.10

24 25 giugno 2010 – giorni 5 e 6
I cacciatori di albe
A parte la quotidiana immersione nel mondo dell'asilo e il contatto coi pargoli ieri della classe dei piccolini oggi della classe dei grandi e la fatica delle riprese, il leit motif dei due giorni è stata la caccia all'alba.
Ieri, rigorosamente nel primo pomeriggio con il sole allo zenit ed un tasso di umidità imbarazzante, ci siamo dedicati all'esplorazione dei tetti di Medina per scovare un luogo adatto a riprendere il sole che sorge.
Sotto la guida di Adama, che abita nel quartiere e che ha interpellato un paio di amici che abitano in palazzi dotati di terrazza sul tetto, siamo andati alla ricerca della giusta location.
Il primo palazzo era situato esattamente di fronte al palazzone piramidale della Banca centrale dell'Africa dell'ovest, che ovviamente era posizionata direttamente sulla linea su cui sorge il sole e quindi è stato prontamente scartato.
Il secondo sembrava posizionato meglio, il ragazzo che ci abitava però era al lavoro e quindi abbiamo dovuto contrattare con il guardiano per avere il permesso di andare sul tetto. Alla fine dopo una telefonata al suo responsabile il permesso è stato accordato e così in piena afa ci siamo trovati ad arrampicarci per cinque piani di scale ripidissime.
L'unica consolazione dal mio punto di vista era la speranza che l'esercizio fisico fosse propedeutico al raggiungimento di una tonicità del lato B se non proprio di livello senegalese che quantomeno ci si avvicinasse.
Il tetto aveva una visuale abbastanza sgombra eccezion fatta per l'est dove c'era un palazzo di altezza simile che ostruiva parzialmente la visuale. Quindi dopo aver provato con entrambe le bussole - non si sa mai che una delle due non funzionasse – che l'est era proprio da quel lato, siamo scesi scartando anche questa soluzione.
In preda a trance agonistica siamo quindi andati dal guardiano del palazzo che ostruiva la vista a chiedere di salire sul tetto, il tipo è stato molto gentile quindi altri cinque piani di scale ripidissime e in più per completare l'opera una scala a pioli alta e rugginosa (che un po' mi ricordava le scalette di Lost) per raggiungere il punto più alto del tetto.
Qui mentre Fabbra verificava la visuale mi sono sdraiata in prossimità del cornicione per scattare qualche foto alla città dall'alto. Le foto le ho scattate, sdraiarsi su di un tetto senegalese disabitato però non è stata un ottima idea dal punto di vista dell'igiene personale.
Infine siamo andati in missione all'orribile monumento del Rinascimento Africano. Quest'opera di incredibile bruttezza che svetta su di una collina nel quartiere di Ouakam, fortemente voluta dal presidente Wade e inaugurata ai primi di aprile, è un colosso di metallo color bronzo raffigurante una famiglia senegalese. Per un singolare mistero, non dissimile da quelli italiani, i soldi per la costruzione – appaltata ai nordcoreani che a quanto pare sono più economici dei senegalesi – sono stati attinti dai fondi pubblici, ma gli incassi delle visite alla statua finiranno tutti nelle tasche di Monsieur Le President.
La statua si trova su di una collina e per raggiungerne la base c'è una simpatica scalinata di millemilioni di scalini che abbiamo affrontato con sprezzo del pericolo sempre sotto il sole cocente, che a noi ci piace soffrire.
Fabbra ha decretato che la cima della collina era il luogo adatto per filmare l'alba e per un eccesso di scrupolo ci siamo anche fermati a chiedere ad un poliziotto se era sempre accessibile anche alle sei del mattino. Il poliziotto estremante buontempone e rilassato in sostanza ci ha detto “Trenci raga, non c'è probblema, potete venire quando volete” il che sul momento ci ha rincuorato.
Tornati a casa abbiamo controllato l'ora a cui inizia il chiarore e l'ora esatta dell'alba su internet, scoprendo che le previsioni non promettevano nulla di buono : tipo cielo coperto temporali e umidità all'80%.
Stamattina Fabbra incaricato di scrutare il cielo per capire se dare inizio o meno alla spedizione ha però decretato che le nuvole non erano molte e che quindi si poteva andare, forse il fatto che le nostre ore di sonno le avessimo passate a boccheggiare per l'umidità insopportabile avrebbe dovuto farci scattare un campanello d'allarme.
Comunque sia lavati vestiti e caffettizzati siamo arrivati in avenue charles de gaulle, siamo saltati su di un taxi e ci siamo fatti portare a Ouakam nelle tenebre più oscure.
Non appena poggiato piede sul primo gradino della scalinata i soldati di guardia però ci hanno intimato lo stop spiegandoci che l'accesso era possibile unicamente dalle 7 alle 22.30 e che quindi niente cazzi dovevamo girare i tacchi ed andarcene. Gli occhioni da cerbiatto e la richiesta di Mao se proprio non ci fosse modo di sistemare la faccenda, sono state ignorate.
Allora ci siamo trasferiti sulla strada sottostante da cui comunque si gode ancora una buona vista della città, abbiamo piazzato camera e cavalletto e ci siamo messi ad aspettare.
Cinque e cinquanta, sei, sei e dieci.... ma siamo proprio sicuri che l'est è di là se il sole deve sorgere lì com'è che c'è più chiarore più a sinistra.
Sei e venti sei e trenta... cazzo cazzo stai a vedere che abbiamo sbagliato l'inquadrazia, sposto la videocamera, no dai abbi fede, no dai guarda la bussola.
Sei e quaranta i primi curiosi che passano e si fermano a fare domande e domandare sigarette.
Sei e quarantacinque... ma il sole a che ora deve sorgere? Tipo adesso? Dov'è il sole? Non ti sembra di vedere un alone nel display? Sì, ma in cielo no.
Sei e cinquanta... ma il sito internet sarà stato attendibile? Ma il sole sorge ad est?
Sette … ma quanto tempo ancora aspettiamo prima di rassegnarci all'evidenza che il sole stamattina ha deciso di non sorgere?
Sette e cinque, un auto arriva a gran velocità e inchioda, scendono tre energumeni che cominciano a domandare “ma ce l'avete l'autorizzazione del sindaco? Avete parlato con il capo villaggio? ” Proviamo la tecnica degli gnorri “Non sapevamo che fosse necessaria l'autorizzazione, stiamo solo riprendendo il sole che sorge”. Ma l'energumeno capo “E' profanazione questa non avete rispetto, non vedete che lì sotto c'è un cimitero? Non avete rispetto per i morti” e gli assistenti energumeni “Profanazione profanazione”. E io ad uno degli energumeni “ Siamo desolati comunque guarda che non c'è il cimitero nell'inquadratura, stiamo solo riprendendo il sole che sorge” (sole quale sole?) .
E l'energumeno capo a Mao “Profanazione, qui c'è mio padre il padre di mio padre, bisogna avere rispetto per i morti, se la gente vi vede qui che riprendete viene su con i bastoni e vi mena”.
Nel frattempo Fabbra smontava tutto domandando scusa. Riposta la videocamera e chiusa l'ultima gamba del manfrotto improvvisamente uno squarcio nel cielo, il sole finalmente s'è mostrato ovviamente già alto in cielo.
Per concludere con gloria la mattinata sulla via del ritorno fermi nell'embouttillage del mattino per entrare in città, il taxista viene fermato dalla polizia per un controllo e non avendo la licenza regolare gli viene estorta una mazzetta.

23.6.10

22-23 / 07 / 2010 giorni 3 e 4
Ieri è stata la giornata dei sopralluoghi. Abbiamo iniziato andando a trovare le donne del miglio alla baraccopoli.
Senabou ci ha accolto all'ingresso della baraccopoli e ci ha portato chez Ndiouck. Come sempre gentilissime ci hanno fatto accomodare sui letti e ci hanno domandato come andavano le cose, poi hanno raccontato della grande festa che hanno fatto l'11 o 12 giugno. La conversazione si svolgeva con loro che parlavano in wolof, Amadi che traduceva in francese ed io che traducevo in italiano per Fabbra.
Pensavamo che la questione delo video fosse più semplice e che dopo la giustificatissima ed iniziale riluttanza avrebbero accettato, non sapevamo però di uno spiacevole episodio successo qualche tempo fa in merito ad un video. Dei francesi sono andati alla baraccopoli e hanno chiesto di fare delle riprese per uso personale del posto e dei suoi abitanti.
Invece hanno realizzato una specie di documentario dal taglio molto pietistico e come se non bastasse l'hanno anche venduto alla tv senegalese, così una mattina tutte le donne si sono ritrovate in onda dipinte come delle povere derelitte.
Alla fine però ci conoscono ed hanno capito le nostre motivazioni così ci hanno accordato il permesso di effettuare le riprese.
Stamattina siamo tornati all'alba per filmare il risveglio dei pargoli, la loro preparazione e il percorso fino a scuola.
In teoria l'alba erano le sette e ci saremmo dovuti svegliare alle sei, peccato che la sottoscritta ha puntato la sveglia sul cellulare con l'orario italiano quindi di fatto ha svegliato tutti con due ore di anticipo.
Ovviamente muovendosi come automi in preda al sonno ci siamo resi conto dell'errore solo quando eravamo già tutti vestiti e con una tazza di caffè in mano e Mao ha pensato di buttare un occhio all'orologio. Grazie al cielo erano tutti troppo assonnati per arrabbiarsi seriamente e quindi con molta nonchalance ci siamo ributtati in branda per un' altra ora e mezza.
Non è facile parlare del posto in cui vivono le donne del miglio, che sono persone sempre allegre vitali disponibili, ma vivono in condizioni di estrema povertà. Non è facile parlare di loro senza sentirsi una merda - termine tecnico - perchè per quanto uno lo faccia con le migliori intenzioni si sente un po' rapace come i francesi del video.
Per cui parlerò dei bambocci che mentre aspettavamo che Fabbra riprendesse i preparativi di altri mi hanno cirrcondato ed assalito ed hanno deciso che dovevano studiare questo strano essere bianco. E mi tiravano la maglia, mi salivano in braccio, mi pastrugnavano i capelli, si stupivano dei miei nei e controllavano che la mia anatomia non fosse dissimile da quella delle loro mamme. Con i bambini è più facile perchè sono bellissimi e affettuosissimi e quando sei con loro puoi anche dimenticarti
per un attimo di cosa ti circonda. Finite le riprese a casa dei bimbi li abbiamo accompagnati a scuola, io Amadi e Mao per mano con due bambini ciascuno e altri che si tenevano per mano fra loro, tutti in fila indiana a sfidare il traffico della rotonda di centenaire e l'attraversamento di avenue charles de Gaulle e Fabbra che correva qui e lì per trovare la giusta angolazione della ripresa.
Più avanti nella mattinata abbiamo anche ripreso l'intervista di Maimuna, la cuoca, anche la sua è una storia interessante, ma sarà per la prossima puntata.

21.6.10

21/6/2010 giorno 2
dopo una notte alquanto afosa stamattina ci siamo svegliati sotto un cielo lattiginoso con una cappa d'umido molto milanese, in sottofondo il vociare dei primi bimbetti che arrivavano a lezione.
Una volta fatta colazione siamo scesi a salutare le maestre ed i pargoli e siamo stati travolti dall'incredibile esuberanza dei nanetti neri che - ormai passata la fase del timido "bonjour madame" di dicembre - adesso ti saltano direttamente in braccio, si attaccano stile cozza allo scoglio e non vogliono scendere più. In tutta onestà non ci fossero state le riprese da fare me li sarei spupazzata volentieri tutta la mattina.
La prima parte delle riprese l'abbiamo fatta in cortile, si tratta dell'intervista a Mao che in teoria doveva essere la cosa più semplice da girare. In pratica un po' le condizioni climatiche proibitive tipo che Mao ci si stava squagliando al sole, un po' la timidezza iniziale davanti alla telecamera, un po' i pargoli esaltati dalla novità, l'avvio non è stato semplicissimo. Piano piano comunque abbiamo preso il ritmo e abbiamo ingranato.
Ad un certo punto è passato a trovarci Adama e così per evitare la cottura definitiva di Mao abbiamo deciso di trasferirci in strada per una intervista itinerante.
Dovevamo essere un gran bello spettacolo Adama ci precedeva e ci faceva da body guard in caso qualcuno avesse qualcosa da ridire era compito suo farci da interprete, Fabbra con in mano la camera che camminava indietro stile gambero connesso a Mao dal cavo dell'audio ed io che ero l'addetta alla segnalazione buche che tenevo Fabbra per la cintura e lo strattonavo in caso di pericolo .
Abbiamo girato un po' per le vie di Gibraltar poi preso coraggio ci siamo spostati davanti alla moschea di Medina e per le strade nei dintorni.
Per finire siamo andati al mercato per rubare qualche immagine di vita senegalese. Ovviamente col nostro grande tempismo le riprese sono state fatte con il sole allo zenit in un momento in cui l'umidità rasentava il 100%.
Al rientro per fortuna ci aspettava l'ottimo pranzo preparato da Maimuna, la cuoca che prepara il pranzo anche ai bimbetti.

20.6.10

20/6/2010 giorno 1
Siamo arrivati questa notte dopo un viaggio lungo, ma a conti fatti meno sfigato di quanto ci era parso in partenza quando, una volta accomodatici al gate B di malpensa, ci siamo resi conto che il nostro volo aveva 2 ore di ritardo.
Ovviamente per la coincidenza avevamo un'ora di tempo e cosi' per metà del viaggio siamo rimasti convinti di dover passare la no9tte a Casablanca.
Una volta in Marocco però un volo misterioso e anch'esso in ritardo ci attendeva per portarci a Dakar, dove con gran gioia di Mao ed Amadi che ci dovevano recuperare all'aeroporto siamo atterrati alle 4.30 del mattino (6.30 ora italiana).
All'aeroporto, data l'ora, c'era decisamente meno casino del solito. O forse era solo che questa volta essendo accompagnata nessun facchino ha insistito più di tanto per prendermi il bagaglio e accompagnarmi fuori.
L'asilo è in centro a Dakar, gibraltar2 che rispetto ad hlm gran medina è un quartiere meno sgarruppato. La sistemazione non è male, ma un po' mi manca la stanza
sul terrazzo di Grand Medina dove al mattino sentivi l'odore del mare. Tempo soleggiato, lieve brezza, peccato per l'umidità che ha fatto sì che circa 10 minuti dopo il mio arrivo i miei capelli assumessero una conformazione stile krusty il clown.
Le aule per fortuna oggi sono vuote, ma un giro a guardare le pile di seggioline vuote, le pettornie appese al muro e i disegni dei bambini l'ho fatto e già questo mi ha messo di buon umore.
M. compagno di viaggio delle mie avventure senegalesi giace comatoso nell'altra stanza ed ora ho anche capito come mai ha insistito per fare dormire me e F. nella stanza più fresca della casa : era tutto un trucco per dormire indisturbato!
Ora dopo circa due ore che millanto di farlo, andrò veramente a svegliarlo nella speranza finalmente di vivere dakar fuori dalle mura dell'asilo e magari anche di mangiarte qualcosina.

18.6.10

C'è che stamattina mi è arrivato l'sms di E. che mi diceva che è nato il suo secondogenito. E dire che sono mesi che penso che devo chiamarla per sapere come va la gravidanza. Mi ha preceduto l'arrivo del pupo.
Per non parlare di tutte le altre persone a cui dovrei telefonare.
C'è che però domani parto per il Senegal ho Baby da ritirare dal meccanico la casa da pulire e devo ancora fare la valigia ed ho una specie di urlo di Munch nello stomaco. Quindi scappo ci si rilegge da Dakar probabilmente.

10.6.10

Sul palco ci sono dei folletti.
Al Re Folletto hanno messo addosso una divisa da domatore o forse da usciere di hotel a 4 stelle, poi gli hanno spalmato addosso della melassa e l'hanno rotolato dentro una scatola piena di fili di lana colorati e adesso è un misto fra un usciere e un capo sioux.
Il folletto primo ministro ha una corona -azzardo di pannolenci- fatta a triangoli e anche lui ha fili di lana rossa che gli pendono dalle maniche.
Poi c'è il folletto secchione, alto secco, coi capelli biondi e gli occhiali neri, con un maglioncino grigio a cui -indovina- sono attaccati dei fili di lana. Gli ultimi due folletti hanno una specie di pigiamino da abitanti dell'enterprise, braghe nere e maglia bordeaux, e sì pure loro hanno dei fili di lana che gli pendono qui e lì, ma molti meno.
Il concerto si apre con il re dei folletti che imbraccia una chitarra acustica e suona in un silenzio quasi irreale. Sullo sfondo del palco un telo bianco di garza su cui scorrono disegni di foglie, animali, uccelli.
Alla fine del pezzo magicamente compaiono anche gli altri folletti che si alterneranno ai vari strumenti come se fossero giocatori di pallavolo che cambiano di posto in campo.
Ad un certo punto scompare il telo bianco - anche qui c'è un tocco di magia perchè non me ne rendo conto - si rivela una scenografia, una finesta con i vetri quadrati, aperta su di un lato o forse rotta.
Le luci e le immagini scorrono seguendo il ritmo della musica. E la musica com'è? Sarei tentata di dire - a costo di rischiare il linciaggio da una persona qualsiasi del compitissimo quanto entusiasta pubblico del concerto - che fra Jonsi e i Sigur Ros non si notano grosse differenze, quantomeno per un orecchio non allenato e profano. In realtà sarà che il concerto dei Sigur Ros di villa Arconati si perde nelle nebbie della memoria, mentre quello di ieri sera l'ho ancora chiaro in mente, le atmosfere sono molto meno rarefatte, la musica è più potente, la sezione ritmica si sente di più. Non è solo per la scenografia differente, la musica di Jonsi non è azzurra e verde e bianca come quella dei Sigur Ros è più blu arancio nero. Più potente insomma, nonostante la voce sia quella e sia inconfondibile.
Il pezzo finale è quello che mi rimane di più dentro, perchè nessuno sul palco si risparmia, i folletti si agitano e la musica sale in un crescendo sempre più intenso e coinvolgente e a tratti spaventoso come le immagini di pioggia e di tempesta che scorrono alle spalle dei musicisti lame bianche sui vetri, alberi squassati oltre i vetri.
I folletti non concedono bis (o forse era quello il bis) ed è giusto così perchè dopo quella tempesta qualsiasi altra cosa avrebbe stonato, solo escono sul palco finalmente rilassati e sorridenti e si godono i saluti e gli applausi entusiasti del pubblico. Poi la scaletta se la volete cercatela qui nei prossimi giorni

8.6.10

A rischio di far ripetere la scena avvenuta ieri sera, con il Marito intenzionato a regalare la fede nuziale al gatto in quanto non più fiducioso delle basi del nostro rapporto, riporto in questa sede la dichiarazione di amore universale per l'officina dove porto la moto.
E no non è perchè il boss è supertatuato, ha gli occhi azzurri ed è un bell'uomo, perchè io amo anche il meccanico con l'occhio sbrincio e la ragazza dell'amministrazione.
Baby di fatto non aveva nulla di grave, prova sia il fatto che in totale autonomia con l'ausilio di un paio di cavi della batteria l'ho messa in moto e l'ho portata all'officina e non è stato necessario che l'officina venisse da noi.
La batteria me l'hanno cambiata, la gomma me l'hanno controllata ( e grazie al cielo non era bucata) e senza che io gli dicessi nulla, hanno anche saldato i fili della freccia posteriore destra (il meccanico precedente aveva fatto un lavoro di merda e li aveva attaccati con il nastro adesivo ) e hanno rimesso la catena a nuovo.
Poi mentre io aspettavo di andare a saldare il conto, hanno spostato la moto dall'angusto parcheggio dove era infilata e me l'hanno lucidata.
Probabilmente spendo di più che in un'altra officina, ma vuoi mettere la soddisfazione di avere una moto funzionante, pulita e luccicante ?

7.6.10

Ieri il Marito sosteneva che per fare la recensione di un concerto non serve la scaletta, basta LesterBangizzarsi.
"Quindi parlare dei cazzi propri con la scusa di parlare di musica?"
"No no, basta criticare tutti"
Quindi bando alle ciancie non vi spiegherò i brividi e la pelle d'oca a sentire questa o quell'altra canzone, non vi dirò il pezzo di apertura o quello di chiusura o cosa hanno suonato nel bis.
Vi dirò invece di Ferrara e di piazzetta Castello cornice suggestiva per un concerto all'aperto, ma se invece di quel lastricato di ciottoli tondi ci fosse stata una colata di asfalto, probabilmente a fine concerto avrei avuto ancora due piedi. Menzione d'onore peraltro ai due stoici stampellati che hanno seguito il concerto al centro della piazza e da in piedi.
Vi dirò della follia della coda che partiva dal duomo e arrivava fino al'ingresso della piazza mentre io il Marito e un gruppo di amici ferraresi bivaccavamo sotto la statua di Savonarola per poi entrare dalla vuotissima entrata secondaria. E della poliziotta che mi domadava se avevo lattine o bottiglie in borsa e ad una mia risposta negativa mi lasciava passare, quando avrei potuto avere coltelli e bombe a mano (la macchina fotografica è definitivamente sdoganata puoi entrare tenendola al collo e nessuno ti dice niente).
Vi dirò che avevano messo giù transenne di burro e che a metà concerto c'è stata una interruzione e qualcuno dello staff è salito sul palco chiedendo a 5000 persone di fare un passo più indietro, come se una volta ripresa la musica, la gente non si sarebbe spostata di nuovo avanti.
Vi dirò che Dave Lovering con quella magliettina bianca a righe blu sottili, la barba e gli occhiali mi ricordava insistemente il mio vicino di casa e come questo un po' mi abbia rovinato la poesia. Che poi non lo ricordavo o non l'avevo notato nel 2004, che cavolo di macchina da guerra è quell'uomo? Pesta come un fabbro e tiene il ritmo come un metronomo anche lanciando bacchette a Joey Santiago e facendosele rilanciare indietro.
Vi dirò che Kim Deal si è scolata tipo trecento birre da sola, infatti era bella allegra rideva sempre e nei momenti di pausa faceva esercizio d'italiano dicendo "questa è la prima volta a Ferrara".
Vi dirò che Frank Black sembra un po' autistico e non dice mai un cavolo al pubblico e in controluce a fine concerto aveva una certa somiglianza con il colonnello Kurtz di Apocalypse Now.
Vi dirò che Joey Santiago secondo me è un alieno, da quando non ha più i capelli non starebbe bene sull'astronave dei Visitors?
Vi dirò anche del giovane punk con la cresta e il giubbino di jeans con la toppa dei clash sotto il palco al centro che non ha retto e a metà concerto s'è spostao in zone più tranquille e della giovane sosia bionda di Arisa che invece ha resistito tutto il tempo, di due energumeni della mafia russa che cercavano biglietti per entrare e facevano un po' paura e dell'idolo della serata, un giovane nerd con una maglietta bianca e la scritta con l'uniposca nero "I want to kiss Kim Deal".
Poi ritorno nel mio mondo ovattato:
Where is my Mind? Where is my mind? Where is my Mind....

3.6.10

A Maggio A Baggio è stata un grandissimo successo, ma è stata anche una fatica immane ed ancora oggi abbiamo alcune attività connesse al dopo festa che ci occupano tempo ed energie. Perchè spostare transenne da 30 kg l'una alle due di notte al parco di Baggio, per quanto potesse sembrare il gesto conclusivo di una lunga giornata, in realtà era solo il primo atto del dopo festa.
A distanza di dieci giorni però ho la mente sufficientemente sgombra e ho recuperato abbastanza sonno per ripensare a domenica 23 maggio e a tutte quelle cose che nel turbinio degli eventi mi hanno fatto sorridere, allarmare, mi hanno forse un po' scocciato, ma mi hanno fatto sentire parte di un evento destinato agli annali della storia del quartiere e del gruppo di persone - magari un po' sgarruppato, ma con tanto cuore - che dal nulla se l'è inventato.
E così, mentre scrivo relazioni pallose, ripercorro mentalmente le varie fasi della giornata.
La gara podistica e i bambini che al via scattano dietro alla "lepre" e quasi la superano. I bambini concentratissimi, quelli scocciati, quelli paonazzi e quelli che aspettano l'amichetto rimasto indietro per prenderlo per mano e tagliare il traguardo assieme. E poi la premiazione e gli occhi dei vincitori che brillano quando ricevono la coppa.
Il torneo di street basket, gli aficionados che già quattro anni sembravano troppo grandicelli per partecipare, ma che alla fin fine ci son sempre e sono generosi nel passare la palla.
E il pomeriggio il teatro dei burattini con i bimbi attentissimi sulle sedie e guai se la mamma li distraeva, la storia senegalese raccontata da Mohamed Ba e la frase "in Senegal non tutti i bambini vanno a scuola, molti imparano dalle storie che gli raccontano gli anziani, così quando un anziano muore si dice che è come se fosse morta una biblioteca", gli animatori professionisti vestiti da winx che va bene la tecnologia, ma alla fine se metti gioca jouer e tiri una palla per aria i bambini si divertono come pazzi.
E poi la fila immensa al bar che non si era mai vista e le salamelle esaurite anzitempo e ringraziare per una volta di non essere dietro al bancone a servire birre.
E pensare che nel frattempo, dall'altro lato del parco, fervevano i lavori per l'evento musicale e si sovrapponevano con l'evento culturale in biblioteca creando un po' di ansia e di tensione.
Ed essere la cosìdetta babysitter di Niccolo' Fabi che significa in realtà esser la galoppina della produzione e scattare sull'attenti ad ogni telefonata. E mentre alle dieci di sera tutti bene o male avevano fatto foto assieme a Fabi, si erano presentati, avevano avuto l'autografo essere l'unica che praticamente non l'aveva ancora visto. Essere ricompensata degli sforzi e del galoppare dal boss della produzione che me lo presenta dicendo "Niccolo' questo è il nostro angelo custode".
E poi assistere allo smontaggio di un neon al volo in piedi su di un tavolo in barba alla 626 e sentirsi chiedere se quel lampione là per caso non si puo' spegnere e rispondere "se hai una buona mira possiamo provare a sassate" e dopo qualche nota vedere che il lampione acceso non dà più fastidio perchè tutti sono concentrati sulla musica.
E poi recuperare pezzi a destra e a manca, smontare cose, caricare furgoni spostare transenne e stupirsi di come nonostante tutto alla fine ogni pezzo abbia trovato la giusta collocazione e stupirsi di quanto l'adrenalina possa tenerti sveglio fino a quando rientrando a casa non gratti la fiancata dell'auto contro il muro del box e ti dici che l'ordine delle cose è stato ristabilito con questa giusta dose di sfiga.

5.5.10

il 23 maggio a Baggio IV edizione della festa di quartiere A MAGGIO A BAGGIO, BELLI DIVERSI
Quest'anno la festa avrà un'ospite d'eccezione, NICCOLO' FABI. Il concerto -gratuito- si terrà in serata nel parchetto antistante la Biblioteca di Baggio.
Ad apertura del concerto di Fabi, suoneranno alcuni gruppi emergenti della zona 7.
In mattinata, torneo di street basket multietnico e gara podistica per i bambini delle elementari.
Al pomeriggio animazione, laboratori creatvi e giochi per i bambini, mostra lavori alunni della scuola Zima Garibaldi, incontro in biblioteca per gli adulti.

12.4.10

Mentre pedalavo senza meta per i campi questa mattina, dopo aver perso l'ideale percorso che avrebbe dovuto portarmi in giro fra i fontanili di Buccinasco e dintorni, ho realizzato perchè la pianura mi mette così tanta ansia.
Non è solo questione di mancanza di punti di riferimento, che non ci siano salite e discese e che non si abbia la rassicurante certezza che scendi, scendi prima o poi arrivi al mare. Non è nemmeno che ogni borgo ed ogni piccola frazioncina si assomigliano tutti, con le stradine strette, le case contadine, due cascine grosse e la chiesa col campanile di mattoni rossi che svetta nella piatta immobilità del territorio. A tratti sembra quasi che un singolo borgo sia stato clonato e la sua forma si ripeta all'infinito come un frattale.
Principalmente è che non c'è spazio per il caso, per il selvaggio, l' improvviso.
Ogni singolo centimetro di terra è stato conquistato, arato, dissodato, incanalato, seminato, piantato, falciato. Ogni corso d'acqua, ogni pozza è opera dell'uomo che la accudisce e la cura, ma la recinta anche per rivendicarne la proprietà.
In Liguria, la terra è avara e difficile da conquistare. Basta salire un po' e subito ci sono boschi in cui passeggiare, radure improvvise di cui stupirsi, ruscelli di cui risalire il corso, spiaggette su cui accomodarsi per restare un po' soli con i propri pensieri. Anche il mare a tratti ti regala territori se non proprio inesplorati, almeno poco frequentati.
La pianura non è un posto per caratteri irrequieti, ci vuole calma per apprezzarne le sfumature, pazienza per osservarne i cambiamenti. E' un posto dove praticare lo zen, magari attraverso l'obiettivo di una macchina fotografica.

9.4.10

E' arrivata la primavera, ma Baby giace ancora dormiente nel box in attesa che io mi decida a fare qualcosa per la gomma anteriore.
E' arrivato il momento di prenotare la consegna del 730 al CAF e di sistamare le scartoffie relative.
Pasqua è passata in un batter d'occhio ed è già ora di pensare alle vacanze estive, anche se il Marito dice che sono ossessiva o meglio, per dirla con parole sue, "ammazza sei un martello pneumatico".
In tutto questo una struggente nistalgia di mare e di sole e l'agghiacciante scoperta che la canzone dei Pretenders "In the middle of the road" potrebbe anche rappresentarmi... quest'anno sono 35 ed io sono convinta che morirò giovane.

19.3.10

Invictus

Out of the night that covers me,
Black as the Pit from pole to pole,
I thank whatever gods may be
For my unconquerable soul.

In the fell clutch of circumstance
I have not winced nor cried aloud.
Under the bludgeonings of chance
My head is bloody, but unbowed.

Beyond this place of wrath and tears
Looms but the Horror of the shade,
And yet the menace of the years
Finds, and shall find, me unafraid.

It matters not how strait the gate,
How charged with punishments the scroll.
I am the master of my fate:
I am the captain of my soul.
William Ernest Henley

15.3.10

Oggi si sente proprio aria di primavera.
Tornando da pranzo avevo addosso la giacchetta di velluto e il piumino senza maniche, entrambi sbottonati e sentivo un bel teporino piacevole di quelli che ti fanno pensare sole, mare, prati, sentieri, montagna, ossia tuto tranne l'inferno di asfalto e cemento che separa il bar sovraffollato dall'ufficio cripta.
Tornata alla postazione ovviamente mi sono imbattuta nel più grande disastro lavorativo degli ultimi mesi, giusto per non perdere il contatto con la realtà.

7.3.10

Esco prima dall'ufficio, ma schivo solo in parte il traffico in uscita da Milano. Il navigatore mi dice la strada anche se in realtà riuscirei a trovarla fino quasi alla meta senza alcun problema, l'autoradio spara i joy division e nonostante io sia da sola al volante il viaggio passa bene.
A Devero lascio l'auto nel parcheggio sotterraneo, scarico zaino e tutti i bagagli e mi avvio su per la strada. Sono le otto e trenta, ormai è notte e il termometro della yaris segnava -7 quando ho spento il motore.
Il primo lampione della strada è semi coperto da un ramo di un albero che si muove a causa del vento rendendo il paesaggio ancora più spettrale. Ci sono solo io in tutto il paese o così sembra.
Il rifugio è effettivamente la prima casa del paese e il custode è stato tanto gentile da lasciare la luce accesa sulla soglia. Le chiavi sono effettivamente nascoste sotto lo zerbino come da indicazioni ricevute via telefono poco prima della partenza.
Quando riesco finalmente ad entrare la stufa a pellet emette un piacevole calore, il rifugio è tutto a mia disposizione e posso scegliere con calma il letto che più mi piace.
Dopo un ora e trenta i primi del resto del gruppo mi raggiungono, grazie al cielo ho delle provviste altrimenti la poesia del fuoco, della stufa, della solitudine e del silenzio sarebbe guastato dalla fame.
Ceniamo alle undici di sera a gruppo finalmente riunito e sistemato, a mezzanotte come cenerentola, sprofondo nel mio sacco a pelo e mi addormento.
Il giorno successivo la sveglia avviene in modo abbastanza naturale alle sette e trenta. Il peggioramento del clima previsto per la serata però ha anticipato e il cielo è coperto. Aspettiamo che tutti si alzino e siano pronti, ma invece di migliorare inizia a nevicare abbastanza insistentemente.
Quando stiamo finalmente uscendo di casa vengo fermata da un gruppo di persone con ciaspole al seguito che stanno cercando il noleggio, quello che mi apostrofa si ferma un istante e carramba! è D. conosciuto esattamente un mese prima durante un altra ciaspolata. Dopo baci e abbracci gli indico il noleggio e gli auguro buona gita.
I propositi bellicosi a causa delle condizioni meteo vengono presto abbandonati in favore di un più tranquillo percorso Devero - Crampiolo, i più ardimentosi fanno una capatina fino al lago e poi tutti giù in paese per una meritata polenta in paese.
Alle cinque quando finalmente mi metto in marcia per tornare a casa il tempo è decisamente migliorato. La strada non è al massimo, ma superati i primi tornanti e le gallerie poi è libera.
Sosta strategica a Crodo in latteria e poi via verso casa in compagnia del fidato ipod.

1.3.10

All'inizio dell'anno ero carica di energie e di ottimismo. Sarà stato il viaggio in Senegal, sarà che gli inizi sono sempre promettenti come un bel quaderno nuovo da inaugurare con una penna colorata.
Poi l'inverno, il brutto tempo e la mia innata tendenza al pessimismo cosmico mi hanno un po' spento e riportato al mio normale stato di scazzo quotidiano.
Che è inutile, per quante cose positive ci accadano e ci circondino, la tendenza è sempre quella a fissarsi su ciò che non si riesce a fare, su ciò che non si riesce ad avere - e quasi mai si tratta di cose materiali.
Essere zen è una condizione da ricercare, non viene affatto naturale.
Poi ci sono cose piccole come la festa del doposcuola di venerdì.
I ragazzini musulmani del doposcuola assieme alle loro mamme hanno festeggiato la nascita del profeta, con una recita e con dei canti.
Sono arrivata tardi e ho potuto ascoltare solo una canzone prima che iniziassero i festeggiamenti mangerecci.
E' stato comunque bello vedere la stanza piena di bambini, mamme e le persone del nostro gruppo che condividevano questo momento assieme.
E' stato bello vedere i lavori fatti dai bambini, il modellino della moschea in cartoncino con i quattro minareti e tutti gli omini piccoli attaccati nel cortile.
E' stato bello essere assalita dalle mamme addette al rinfresco che mi hanno chiamato a gran voce "signora signora vieni ad assaggiare i nostri dolci" e farsi mettere in una mano un piatto pieno di assaggi di dolci marocchini ed egiziani e nell'altro un bicchierino di vetro blu con i ricami oro pieno di the alla menta zuccheratissimo.
Mi ha fatto sentire che le energie che spendiamo nel nostro progetto danno dei frutti e che è vero che alle volte basta gettare un seme perchè prendano vita delle cose bellissime.
Il mondo mi è sembrato un posto più bello.
Per non smentirmi - e per smetterla con questa tirata cariadenti - comunque non poteva mancare il momento comico fantozziano.
E' stato trovarmi circondata di bambini con in mano quei bastoncini che una volta accesi sprizzano stelline e sentirmi chiedere di dare una mano ad accenderle. Accendere i bastoncini luminosi in onore del profeta con un accendino con una donna discinta in mini bikini effettivamente non ha prezzo.

28.2.10

Circolo Arci all'estrema periferia dell'impero, ad un concerto.

Scena 1 - La Bibita
Il Marito va in missione bibita e torna con la mia birra ed un bicchiere contenente un liquido scuro.
Io - Cosa hai preso ?
IlM - Coca cola
Io - Coca normale?
IlM - Pura e semplice coca cola
Io - Come mai?
IlM - Mi andava la coca
Io - Ma stai male?
IlM - No
Io - Allora forse devi dirmi qualche cosa?
IlM - ...
[a mia discolpa, in cinque anni che stiamo assieme era la prima volta in assoluto che il Marito decideva di prendere una bevanda analcolica]

Scena 2 La Cantante
Il Marito perplesso commenta l'esibizione del primo gruppo, rock italiano con cantante donna.
IlM - è che lei proprio non c'entra niente con il gruppo
Io - in che senso?
IlM - boh sono perplesso, cioè capisco che vogliano giocarsi la carta bella figa, però non mi convincono
Io(un po' seccata dell'attributo rivolto ad un'altra donna) - bella figa parliamone
IlM - Beh dai rispetto al cimitero di belini che c'è di solito
Io - ah beh in quel caso

19.2.10

Are you the new person drawn toward me?
To begin with take warning, I'm surely far different from what you suppose;
Do you suppose you'll find in me your ideal?
Do you think it so easy to have me become your lover?
Do you think the friendship of me would be unalloy'd satisfaction?
Do you think I'm trusty and faithful?
Do you see no futher than this facade, this smooth and tolerant manner of me?
Do you suppose yourself advancing on real ground toward a real heroic man?
Have you no thought O dreamer that it may be all maya illusion?
(Whitman)

18.2.10

Viaggi e avventure
Il mio amico A. a marzo andrà a fare un viaggio fotografico alle Svalbard.
Rendiamoci conto, le Svalbard, un sogno. Un viaggio fotografico, uno spettacolo.
Ovviamente l'invidia è alle stelle e qualche settimana fa ho anche seriamente pensato di fare la pazzia e aggiungermi al gruppo all'ultimo minuto.
L'unica difficoltà, a parte farsi dare le ferie che da queste parti comporta una serie di trattative che manco si trattasse di metter pace nel medioriente, era di carattere economico. Diciamo che non avevo 3000 euro che mi avanzavano e quindi ho rinunciato. Con l'idea che mi terrò il bonus ferie per andare a trovare i "miei" bambini senegalesi al prossimo viaggio.
A. comunque non manca di condividere con me i dettagli dell'organizzazione, forse perchè sono l'unica pazza, oltre ai suoi futuri compagni di viaggio, che a notizie quali si dorme in tenda in mezzo ai ghiacci, la temperatura media è zero gradi, ma spesso si arriva a -15, ciascuno dovrà guidare la sua motoslitta, invece di pensare "ma tu sei matto" dice "che figata che spettacolo come ti invidio".
Ieri mentre scambiavamo mail su questo argomento abbiamo avuto la classica carrambata stile "quanto è piccolo il mondo". La sua guida alle Svalbard è un italiano che da anni si è trasferito lì ed è il fratello di una guida alpina con cui io lo scorso anno sono andata a fare una ciaspolata. In pratica il responsabile della mia ossessione per queste isole fredde e magiche nei mari del nord.
Se proprio devo essere sincera c'è una cosa di tutto il viaggio che mi lascia un po' perplessa, la necesità delle guardie notturne anti orso fuori dalla tenda armati di lampada frontale e fucile.

16.2.10

Il blog langue, non è una novità.
E' estremamente più semplice vomitare il pensiero del momento e tramutarlo in uno status di facebook, piuttosto che scrivere qualcosa di articolato riguardo a come si sta a cosa si pensa del mondo o di un determinato avventimento.
Non ho nemmeno la costanza per trasformarlo in qualcosa d'altro, un blog di recensione di libri (e lì sarebbe veramente dura visti i ritmi lentissimi con cui procedo nella lettura della pila di libri che affolla il mio comodino) piuttosto che in un food blog o in un blog che parla di fotografia o di montagna.
Sono sempre stata la ragazza dei facili entusiasmi dei colpi di fulmine, la persona che salta di palo in frasca e questo blog è nato con questo spirito, riportare ciò che mi passa per la testa in un determinato momento, dalla scena cominca vista per strada, al commento sulla politica attuale passando per una sana padellata di affari miei. Nell'attesa di trovare il coraggio per una eutanasia definitiva, me la cavo con un post per punti.
1) Le mie fatiche montane ormai sono così sporadiche che passarla liscia diventa sempre più difficile. Dopo la bellissima due giorni ai piani di Artavaggio con il GVMI infatti ho passato una settimana prostrata da quella che devo ancora decidere se è stata una congestione o un lieve attacco dell'agguerritissimo virus gastrico che miete vittime di questi giorni.
2) Il digiuno forzato ha comunque sortito i suoi effetti, anche l'estetista ha notato che sono dimagrita e sono soddisfazioni.
3) Le visite di controllo dai medici di sesso femminile hanno sempre la pericolosa tendenza a trasformarsi in sedute di psicoanalisi e non se ne capisce la ragione.
4) Parrebbe che io abbia vinto il terzo premio in un concorso fotografico, il problema è che il giorno dell'inaugurazione ero troppo morta per andare sul posto e sul sito il mio cognome è storpiato, quante sono le probabilità che una persona col mio stesso nome, abbia un cognome con sei lettere uguali al mio di cui l'iniziale e la finale e frequenti la mia stessa scuola di fotografia? Per la legge di Murphy evito di farmi prendere da facili entusiasmi
5) L'associazione italiana donatori organi dopo 16 anni e 2 cambi residenza mi ha ritrovato e mi ha spedito a casa la nuova tessera. Allegato alla tessera la fotocopia della mia dichiarazione di adesione vergata di mio pugno con la grafia da adolescente con le lettere tutte tonde. Da un lato la tenerezza per la me stessa di 16 anni fa dall'altro la spontanea domanda: vorranno forse dirmi qualcosa?
E con questa sarò a posto almeno fino al prossimo mese, che poi tanto lontano non è.

1.2.10

C'è una strana coincidenza astrale per cui tutte le sere in cui sono fuori casa sia mia madre che mio padre decidono di chiamare. Molto spesso a casa c'è Andrea che li aggiorna sui miei spostamenti.
Pare che ieri sera mio padre all'apprendere che dopo il pranzo in famiglia ero ritornata a casa e poi riuscita per andare al cinema a ri-vedere Avatr abbia commentato "inarrestabile".
Probabilmente non sapeva che tra una cosa e l'altra avevo pure trovato il tempo di fermarmi all'autolavaggio per far lavare la macchina.
Alle volte mi domando se ho qualcosa che non va e se mai mi passerà questo eterno ballo di san vito.

25.1.10

E' noto che da quando ho sposato uno scenaggiatore ho smesso di andare al cinema.
Lo scorso anno pensavo di aver fatto una gran furbata facendomi portare a vedere Mamma mia il 1 di gennaio, in base alla convinzione che quel che si fa a capodanno si fa tutto l'anno. Nulla di più falso e al cinema nel 2009 ci sono andata forse solo quella volta, se non vogliamo contare il cineforum che però avevo organizzato e proiettato io e che quindi non mi sembra che valga.
Tutto questo per dire che Revolutionary Road lo avevo sentito nominare, ma solo di sfuggita, forse alla macchinetta del caffè dalla mia collega con la figlia appassionata di cinema e che solo dopo avevo realizzato che oltre al film esisteva un libro.
Così seguendo la tradizione natalizia, l'ho messo nell'elenco dei libri che mi piacerebbe leggere che passo a mio padre ogni dicembre.

New York, anni sessanta, piena suburbia. Una strada si diparte dalla statale 12 e si inerpica per la collina. E' Revolutionary Road, una strada di ordinate casette di perfieria, costruite in serie, ciascuna col suo giardino e l'auto lucente parcheggiata nel vialetto. Al di fuori dal complesso costruito in serie con effetto Disneyano, rimane la casa dei Wheeler, un po' distanziata si distingue dalle altre oltre che per la posizione, per un aspetto originale che le dà carattere.
I Wheeler sembrano la classica famiglia modello, marito che lavora in città, la moglie che sta a casa ad accudire i due bambini ovviamente biondi ovviamente belli.
Ma i Wheeler sono irrequieti, hanno altre aspirazioni rispetto alla vita stereotipata dei sobborghi urbani. Si sentono più dotati, più intelligenti, votati ad obiettivi più alti rispetto ai vicini. Pensano di essere solo accidentalmente inciampati in una vita piatta e monotona, ma che la situazione sia solamente momentanea.
Soffocati dalla mediocrità della routine quotidiana programmano una fuga verso una vita migliore e più bohemienne in Francia dove mentre April diventerà segrataria delle nazioni unite e porterà a casa la pagnotta, Frank finalmente riuscirà a trovare la sua strada. Ricerca lasciata in sospeso dopo la laurea a causa della gravidanza inaspettata di April.
Ma i Wheeler non sono abbastanza coraggiosi, non si vogliono abbastanza bene e forse non sono abbastanza veri per potare a compimento i propri sogni e l'epilogo della storia non puo' che essere drammatico.
Yates dipinge un affresco della middle class americana spietato come un quadro di Hopper. Nessuno si salva, non April non Frank, non i Campbell vicini di casa e amici. La forma vince sempre sulla sostanza, più che una ricerca di nuovi orizzonti di una vita migliore i personaggi sembrano impegnati nell'interpretare al meglio la loro parte. L'irrequietezza si trasforma in forza distruttrice anziché propulsiva.
Un libro disturbante a tratti perché tocca un nervo scoperto nelle vite di molti noi, la paura di invecchiare, il non ritrovarsi appieno nelle scelte fatte, l'idea di essere destinati a qualcosa di più grande ed alto senza nemmeno sapere cosa questo altro sia.

22.1.10

Corso di fotografia, lezione sull'utilizzo dei flash.
La classe - finalmente riunita quasi al completo - ascolta la spiegazione di S. sui flash. Integrati, esterni, lampade flash, numeri guida, potenza, raggio d'azione e sincro con la tendina.
Ogni tanto il telefono di S. squilla è il modello disperso nei meandri della città che non trova la via della scuola, nonostante ci sia stato già diverse volte.
S. ci racconta che lui e R. si sono conosciuti da diciannovenni e poi si sono persi di vista. Ai tempi R. era alto magro e allampanato, quando l'ha rivisto dopo quindici anni era diventato una montagna di muscoli. Ci raccomanda di non farlo arrabbiare che con una sola sberla è in grado di mischiarci le ossa.
Nonostante la presentazione quando finalmente il modello fa il suo ingresso, non siamo comunque pronti. Un armadio deambulante con trolley al seguito e uno spolverino di pelle di pecora, oscura la porta di ingresso. Io e P. evitiamo di guardarci per non scoppiare in risate fragorose.
R. a dispetto della stazza che incute timore e del look che lascia un poco perlessi è comunque molto disponibile e calato nel ruolo. Il trolley contiene le varie mise che si è portato dietro.
Per cominciare si presenta con un completino gessato vagamente brillante alla Al Capone indossato però in stile California Dream Man, ossia con camicia sbottonata sul petto a mostrare tatuaggio su pettorale e cravatta slacciata ciondoloni.
Il problema nel fotografarlo è che data la mole delle spalle e delle braccia, la testa inevitabilmente tende a sparire.
Col senno di poi rivedendo le foto ho capito che più che sul viso avrei dovuto concentrarmi sui pettorali.
La seconda mise adottata, un po' da gangsta rapper con canotta pantaloni della tuta e berrettino in lana calato sulla fronte probabilmente lo rappresentava meglio, peccato che il mio turno fosse passato e che nel mio portfolio adesso ci sia solo Al Capone con gli occhi da bue.

7.1.10

Il 2010 ha portato con sè uno stato di inspiegabile energia o forse il mio pessimismo cosmico è rimasto intrappolato nel 2009 e non è ancora riuscito a riacciuffarmi.
E' una delle rare volte in vita mia in cui guardandomi allo specchio, pensando alla mia vita non mi sminuisco, non mi arrabbio, non penso "che barba che noia".
Penso che per quanto in maniera pasticciata e poco costante, per quanto con ampli margini di miglioramento faccio un sacco di cose belle, interessanti, a tratti anche utili.
E non mi riconosco, davvero. Io eterna insoddisfatta, eterna irrequieta, eterna ipercritica nei confronti di me stessa che improvvisamente sono indulgente con le mie pecche e fiera dei miei meriti.
Non so quanto durerà, non so quanto dura sarà la (ri)caduta, ma per il momento me la godo.

6.1.10

Steve Mc Curry
Sud Est
Palazzo della Ragione, Milano
11 novembre 2009 - 31 gennaio 2010
ingresso con riduzione feltrinelli fnac etc 6,5€

Prima di iniziare il corso di ritratto, Steve Mc Curry per me era una delle sue fotografie, la ragazzina afghana con gli occhi verde ghiaccio e il velo rosso attorno al capo.
Nella contraddizione che mi contraddistingue infatti, sebbene il mio primo insegnante di fotografia mi abbia diagnosticato una tendenza alla fotografia emozionale a colori, come spettatrice sono una fan del bianco e nero, del segno grafico ben definito, della ripartizione netta fra luci ed ombre oppure di quelle foto senza tempo in cui la grana della pellicola è percepibile e crea una atmosfera sospesa, fatata.
Non mi ero quindi mai posta il problema di sapere quali fossero le altre foto che McCurry aveva scattato, anche per una sorta di istintivo pregiudizio: troppo facile fare una bella foto in un paese straniero, con quei colori. Come se per solo il fatto di essere all'estero i condizionamenti che ci portiamo dietro automaticamente siano destinati a cadere e entrare in contatto con il prossimo diventi un gioco da ragazzi.
Io e il mio rapporto ambivalente con la foto a colori in terre straniere siamo quindi arrivati al palazzo della ragione con aspettative contraddittorie, se da un lato avevamo avuto giudizi estasiati dagli amici che l'avevano visitata, dall'altro eravamo un po' titubanti.
La prima cosa che colpisce varcata la soglia è l'allestimento delle foto e non solo per via di questi pannelli neri che vanno da pavimento a soffitto a cui sono appese e che creano una sorta di labirinto in cui perdersi piuttosto che un percorso ordinato e prestabilito, ma soprattutto per la luce.
Non sono una grande frequentarice di mostre, ma questa è in assoluto la prima mostra in cui da qualsiasi punto uno guardi una foto, sia col naso attaccato a un millimetro sia un po' discosto, la foto è perfettamente illuminata e non ci sono fastidiosi riflessi che ne disturbano la contemplazione.
La mostra è articolata in sei aree tematiche: ritratti, il silenzio e il viaggio, la guerra, la gioia, l'infanzia, la bellezza. Fra i ritratti che spaziano dalla bambina ridente sulla panchina di Roma, ad anziani monaci tibetani, la foto che mi ha colpito di più in assoluto è quella del minatore afghano. Il volto scavato dalle rughe e sporco di fuliggine, la sguardo vivo e sorridente.
Fra le foto della seconda sezione la presenza umana, per quanto minuscola al cospetto della natura e del soggetto ne è parte imprescindibile ed integrante. La mia favorita è la foto di due gigantesche navi ormeggiate praticamente sulla spiaggia e di un minuscolo essere umano con i piedi a bagno nell'acqua vicino a queste immense prue.
Le foto di guerra sono forse quelle che mi sono piaciute meno, mi sono sembrate meno coinvolgenti. Di sicuro anche quelle più crude scattate in Iraq nel 91 tipo l'uomo carbonizzato, nella loro drammaticità non sono mai crude.
Le foto sull'infanzia ci mostrano bambini spaventati, come il bambino yemenita tenuto per mano da adulti dotati di coltellacci o diventati adulti troppo presto, infanzia a mano armata. Alcuni spavaldi con le loro pistole in pugno, alcuni come il bambino peruviano armati, ma in lacrime.
Le ultime foto infine sono ritratti di ragazze, la famosa ragazzina afghana dagli occhi verde ghiaccio e altre due giovani donne. Sguardi intensi, personaggi che si trasfigurano dalla situazione contingente per diventare icone.
Ho lasciato alla mostra il mio pregiudizio per portarmi a casa un costossisimo quanto meraviglioso libro di fotografie, The Unguarded Moment.