30.1.08

Dell'inettitudine sociale e dell'istinto da crocerossina selettivo.
Io e la Collega stiamo attraversando a piedi il parcheggio dell'ipermercato, quando lei esclama "oddio è caduto".
Perplessa alzo lo sguardo e in un primo momento credo di vedere uno scooterista o ciclista a terra a cui qualcuno sta sorreggendo le gambe.
Solo dopo realizzo che si tratta di un uomo in sedia rotelle, cappottato sulla schiena, che un automobilista cerca di riportare in posizione normale.
Allunghiamo il passo, il soccorritore è in difficoltà, l'uomo in carrozzella non può fare nulla per aiutarlo. Ci mettiamo a correre, quando arriviamo sul posto fortunatamente l'uomo in carrozzella è in posizione corretta. Il suo soccorritore un po' accaldato ci spiega che ha mal di schiena, quasi a scusarsi di non aver prestato un soccorso più immediato.
Raccolgo un panno di ciniglia verde dall'aiuola, mentre il soccorritore recupera gli occhiali. Una occhiata alla sedia mi dice che non può essere il sacchetto attaccato ai manici posteriori ad aver causato la caduta e che l'uomo in carrozzina non rischia più di perdere l'equilibrio trovandosi nell'ingrata situazione della tartaruga rovesciata sulla schiena.
Domando se il panno verde è suo, lui mi spiega che è il suo copricapo, mi domanda se glielo posso mettere in testa. A quel punto mi rendo conto che si tratta di un maglioncino da bambino. Lui parla in modo strano, un po' biascicando, ma sembra lucido. Mi sorride, ha gli occhi azzurri, i capelli stopposi rossicci. Deve essere alto. Non è un brutto uomo, è giovane. Sistemo il copricapo come meglio posso, chiedo se va bene. Lui mi dice di stringere ancora le maniche, poi annuisce e mi dice che è a posto. A quel punto è il turno del primo soccorritore che cerca di sistemargli gli occhiali sul naso. Io e la Collega ci allontaniamo verso l'ipermercato, forse non salutiamo. Solo dopo ci domandiamo se avremmo potuto fare altro per aiutarlo e come cavolo si era trovato in quella situazione. Rabbrividiamo al pensiero di quanto sarebbe rimasto a terra, se fosse successo in un altro momento, magari col buio o la mattina presto. Poi facciamo la spesa.
Solo che quegli occhi, il sorriso e l'occhiolino, faccio fatica a dimenticarli. Mi rendo conto della mia inettitudine sociale, che mi fa scappare senza salutare per l'imbarazzo e la paura di non capire quel che potrebbe dirmi.
Mi ritrovo in balia del mio istinto da crocerossina fuorviato. Mi domando cosa stesse facendo perchè sia caduto, cosa faccia di solito, quante volte si sia trovato in situazioni come quella. Mi dispiaccio per lui. Penso che avrei dovuto entrare nella sua vita per più di qualche secondo.
Poi penso al mio compagno del corso di fotografia, un ragazzino neodiplomato, con problemi d'udito che articola difficilmente le parole, saliva troppo ed emette terribili risucchi. Con lui l'istinto da crocerossina viene meno. Il non capire cosa articola mi paralizza. E cerco di non sedermi mai di fianco a lui per paura di dover interagire ed anche, lo ammetto, per non dover seguire troppo da vicino la sua agonia salivatoria.
E a pensare a come funziona il mio cervello, mi sento un po' una merda.

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