29.1.08

Che vita è mai questa, ci domandavamo l'altra sera.
C'è chi lavora per gente che disprezza, chi ha cambiato lavoro 8 volte in 10 anni, chi viene preso per il culo dal datore di lavoro e gli viene detto pure in faccia, chi di mestiere fa il capro espiatorio mascherato da controllore di flusso.
Poche o nessuna le prospettive di miglioramento e chi è nato in questa città e le ha sempre voluto bene o chi, come me, ha raggiunto un compromesso con essa cercando di osservarne solamente gli aspetti positivi, alla fine si trova a dover ammettere che non è vita.
E allora, la gestione di un bar sui colli piacentini, in un paese di cui si può dire unicamente "nomen omen", sembra una alternativa plausibile. Come anche improvvisarsi distributori di vini. E ritorna di grande attualità il bar per ex galeotti nella città natia, che avrà tanti difetti, ma almeno c'è il mare e ci sono le mie radici.
E la fuga all'estero, per scappare da questo meccanismo perverso che ci imprigiona tutti e ci soffoca, assume i contorni dell'ancora di salvezza.
Ci sono treni che passano e opportunità da cogliere, solo che paiono non transitare mai sotto le mie finestre o forse non ho abbastanza coraggio o lungimiranza per vederli.

p.s. il mio desiderio di espatriare verso i paesi nordici potrebbe trmutarsi in una ossessione, se continuo a imbattermi in notizie come questa: in Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia hanno una parola apposita per il concetto "felice di lavorare" (via Internazionale).

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