Gli odori, la spazzatura, il tubo di scappamento della macchine
l'asfalto appiccicoso sotto le suole delle scarpe.
Poi la gente del quartiere, la gente che parla una lingua diversa
dalla tua e che ti sembra cosi' estranea e lontana... nessun legame dal
calpestare lo stesso tratto di strada... dall'andare nella stessa
direzione.
Sui monti, li' era diverso... a parte tuo padre nessuno parlava la
tua lingua, ma ci si capiva comunque. Si andava tutti nella stessa
direzione e l'affinita' era data dal calpestare lo stesso sentiero
avendo negli occhi lo stesso paesaggio.
La mia scrivania, l'aria condizionata e i neon accesi, l'eterna immutabile
atmosfera sintetica della mia postazione di sviluppatrice software.
L'unica forma di vita che si ribella alle costrizioni quotidiane e' il mio
cactus, o almeno mi piace pensare che quelle sue braccia lunghe e stranamente
ricurve siano un segno di ribellione alla monotonia della vita da catus da
ufficio.
Non sono stata al polo, non ho scalato l'everest, non ho compiuto un viaggio
in posti esotici che mi ha portato a contatto con realta' sociali diverse.
Sono andata per mio diletto a fare un trekking sui monti. Un trekking famoso
ed iperfrequentato, nulla di trascendente solitario eroico. Molto faticoso certo,
ma pur sempre un trekking lungo un percorso segnato che ti porta di rifugio
in rifugio. E nei rifugi spesso c'e' il guardiano e se vuoi ti fa un omelette
o un salsicciotto con le lenticchie; se sei fortunato c'e' il sole e i pannelli
solari riscaldano l'acqua della doccia... se sei sfigato dopo che hai camminato
per sei ore sotto il sole cocente, al momento della doccia sono arrivati i nuvoloni
e l'acqua della doccia e' gelida come quella del ruscello che scorre li' accanto.
Di certo le persone schizzinnose o timide non si troverebbero a loro agio
a dividere una camerata con 30 letti ammassati gli uni accanto, sopra, sotto gli altri
con persone di tutte le eta' e di ambo i sessi, con l'asciugamano per il viso che magari
ti cade sui calzini puzzolenti del vicino di letto. Ma di certo non c'e' nulla di
eroico in un trekking faticoso, nelle levatacce del mattino o nelle buste knorr.
E' bello pero' camminare, faticare, vedere posti che potresti vedere solo in foto
o in tv se non ci andassi coi tuoi piedi. Respirare aria pura ... unici odori
pungenti quelli delle mucche o del pecorino. Faticare, ma arrivare in vetta
e poi discendere. E vedere altre persone di altre parti del mondo che fanno la stessa
cosa assieme a te, sentire una sorta di empatia, fatta di sudore, coda ai fornelli
del rifugio e sguadi, stanchi o sorridenti, qualche parola biascicata, qualche gesto.
E quando uno se ne va non porta via che un ricordo, una immagine.... e un po' di
magone per una magia che sembra spezzata.
E in citta' ti senti a disagio un po' come un alieno, ma ti dici che il sogno era la
vita sui monti e non l'asfalto e il traffico ... senti l'energia che la vacanza ti ha dato
ed hai paura di quando questa sara' di nuovo svanita e tu sarai solo nuovamente
una povera e triste sviluppatrice. Gia' la smania convulsa che ti ha colto scoprendo
delle difficolta' di acesso alla rete e' sintomo che ti stai definitivamente svegliando.
Che il trekking che hai fatto era un tributo finale alla vita libera, non l'inizio
di una nuova vita.
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