28.3.06

E' che a volte mi sembra di camminare nella melassa, umida, appiccicosa, respingente. E se il cervello ordina alle mie braccia di alzarsi e parare la caduta, le braccia cominciano a muoversi al rallentatore , prima sui fianchi poi discoste di pochi gradi, poi, dopo molto tempo, finalmente a 90 gradi rispetto al tronco. All'inizio è annicchilente, per me così nervosa, così abituata a muovermi a scatti, ai cambi e alle decisioni repentine.
Anche la caduta però è al rallentatore, centimetro dopo centimetro la mia faccia si avvicina al suolo, ma in maniera lenta e impercettibile tanto che a volte dimentico che sta cadendo o credo che l'impatto sarà meno doloroso.
La melassa si insinua nei pori e nel cervello e paralizza, anestetizza.
Qualche volta, nonostante tutto, qualcosa arriva a scuotermi e allora mi dibatto per qualche secondo, come un mosca catturata da una pianta carnivora o intrappolata nella tela del ragno. Anche il risultato è il medesimo alla fine sono solo immersa più profondamente, intrappolata più inestricabilmente.
La melassa.
Ho sempre creduto all'improvvisazione e storto il naso davanti alle programmazioni scrupolose, ai propositi incasellati, all'espansione delle sfere di influenza della persona sul resto del mondo.
Solo che quando sei immerso nella melassa, da qualche parte devi pure incominciare a pianificare l'uscita.
Così quaderno e penna alla mano traccio schemi, annoto propositi. A volte li cancello, altre li strappo, altre ancora li seguo per un pezzo e poi mi fermo. Quando completo una casella però mi sento felice e più padrona di me stessa.
Il dubbio comunque resta, arriverà prima la fine della vasca di melassa o l'impatto violento con il suolo?

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