12.4.06

Mi domando quanto ancora durerà la mia coscienza civica, quanto ancora resisterò interessandomi ed indignandomi per le vicende politiche italiane (paradossalmente sono sempre più informata su quelle estere che su quelle casalinghe), quanto ancora avrò voglia di fare zapping fra vespa e ballarò. Anche se mediamente guardo pochissima televisione, sono comunque influenzata dai casi mediatici del momento.
Penso questo, mentre assieme ad altre ragazze pesco nella borsa delle meraviglie che I. ha portato con se. Cavigliere, pendenti, cinture, bracciali, collane porta sura. Tutte intersiate, lavorate, coperte di perline. Alcune "antiche" altre attuali. Tutte cose che provengono dall'Afghanistan.
La parola Afghanistan nella mia testa è legata ad immagini di montagne rocciose ed aspre, donne coperte con burka, uomini con turbanti e kalasnikov. Al più ogni tanto mi viene in mente l'immagine folle di Bin Laden e del mullah Omar che fuggono su un tandem in mezzo a greggi di capre.
L'Afghanistan è un concetto astratto, lontano, se non ci pensi non esiste. Adesso per le mani ho un pezzo di questa idea, brillante di perle turchesi ed è un pezzo nuovo che non si concilia con gli altri brandelli di idea che fluttuano nella mia testa. E' un idea di ricchezza di opulenza di colore che non riesco a far collimare con quelle di morte distruzione e asprezza, maturate televisivamente all'epoca dei bombardamenti.
Compro un pezzo di Afghanistan, coperto di perline e sonagli, me lo cingo sui fianchi e medito.

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