20.1.05

La nebbia saliva a riccioli dal naviglio si attorcigliava sui lampioni assumendo sfumature arancioni, lambiva il ponte pedonale e offuscava lievemente il livore delle luci alogene che un architetto folle aveva deciso di sistemare alla sua base.
Il termomentro segnava -1 e le pozzanghere in cui si era sciolta la neve durante il giorno mandavano bagliori ghiacciati dall'asfalto. La macchina era gelata e appannata, la strada deserta, il riscaldamento a palla non contribuiva a migliorare la situazione.
In quell'atmosfera sfumata i contorni incompleti del cantiere avevano un'aria romantica.
O forse era solo il desiderio di un posto caldo e la proiezione di se stessa che chiudeva il mondo fuori dalle persiane verdi del suo terrazzo.
Perché alle volte si ha bisogno di chiudere gli occhi e stare al buio in silenzio o magari restare cullati da una voce calda al lume dei led dello stereo.
Ci vuole un gatto da tenere sulla pancia per avere nel proprio universo un'altra presenza viva.
Invece l'unico suono la ventola del riscaldamento, l'unica compagnia l'immagine di se stessa riflessa nel vetro, l'unica certezza i km da percorrere, sempre uguali, sempre troppo pochi per fuggire dal passato alla ricerca di un quaderno bianco in cui scrivere storie nuove, possibilmente a lieto fine. Ogni tanto ci vogliono braccia fra cui piangere o una mano calda che passa fra i capelli e si ferma sul collo protettiva. A prescindere.

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