12.4.05

La domenica mattina alle otto Milano è strana, parecchio.
Innanzi tutto le macchine. Non ci sono. O meglio sono ferme parcheggiate. Milano senza auto in movimento la si vede a stento nei giorni di blocco del traffico.
Poi la gente. Salgo in metropolitana e per un attimo rimango perplessa, sul vagone solo gente in calzoncini, maglietta e scarpe da giinastica. Le ragazze magari in fuseaux e kway, che si sa, siamo più freddolose. Poi ricordo: non è un film di fantascienza in cui l'umanità si è trasformata in un branco di pericolosi maratoneti, è solo che c'è la stramilano. Mi tranquillizzo che io e la maratona non andiamo d'accordo, nemmeno io e la corsetta leggera a dirla tutta.
Cambio metropolitana, sulla rossa altra umanità ed io continuo ad essere il soggetto difforme. Un vagone di persone con sacchettoni e valigie, tratti slavi, occhi e capelli chiari, abbigliamento un po' retrò, qualche donna con il fazzoletto in testa. Parlano una lingua che non capisco, ma decido essere russo. Il perché la rossa in direzione molino dorino sia piena di russi con sacchetti e valigie però non riesco ad indovinarlo. Scendo a lampugnano con la mia perplessità.
In macchina crollo addormentata appena imbocchiamo la A4 e mi sveglio un'ora dopo al casello di Verona.
A Verona c'è vinitaly, ma purtroppo non sono qui per questo, anche se poi la mia giornata è tutt'altro che noiosa.
Verona è bella. Anche con il vento e il freddo pungente. Passeggiamo per un paio d'ore, troviamo anche il balcone di Romeo e Giulietta e il trash che lo accompagna: migliaia di chewing gum attaccati alla facciata a cui gli "innamorati" zoticoni attaccano foglietti con promesse d'amore eterno che si scioglieranno alla prima pioggia( i foglietti, le promesse si spera durino di più).
Vediamo il duomo dal fondo della navata che la messa sta per cominciare: è tutto affrescato e pieno di marmi rosa, comunica uno strano senso di calore che in generale è difficile trovare in una chiesa.
L'arena non riusciamo a raggiungerla, troppo lontana per un giro a piedi e senza cartina.

La sfilata è una collaborazione fra due associazioni che si occupano di diffusione e integrazione della cultura africana in Italia. Quando arriviamo le ragazze di Verona sono tutte in cucina a preparare la cena per la serata africana.
Rabia è marocchina e va in giro con il foulard che le copre i capelli, che tiene raccolti in una crocchia. E' timida e sovraintende i preparativi culinari con discrezione.
Più tardi nel pomeriggio ci raggiunge alla prova abiti : sfilerà anche lei. Nel camerino toglie il foulard per provare i vestiti, scioglie la crocchia ed ha una coda di cavallo lunghissima e di un bel castano scuro. Se al primo giro sfila con il capo coperto, alle uscite successive poi, mostra i capelli nonostante la presenza di innumerevoli uomini fra il pubblico. Fa quasi tenerezza nel suo tentativo di conciliare la tradizione che la vuole schiva e nascosta, con la voglia di mostrare la sua femminilità.
Per il resto quindici e passa donne in una stanza con decine di vestiti da provare e il trucco da fare è sempre uno scenario che varia fra lo studio sociologico e il film dell'orrore. Il senso critico alle volte sembra sparire, se il completo è bello, ma i pantaloni a zampa sono più lunghi delle tue gambe di almeno 15 cm forse è meglio che cerchi un altro abito da indossare.
Comunque alla fine nonostante l'ordine di uscita degli abiti saltato e il panico serpeggiante dei cambi d'abito al volo la sfilata è uscita bene.
La cena Africana dopo anche.

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