8.5.07

Cuba parte II

Il Museo de la Revolucion
Posto che se uno lo visitasse seguendo il percorso corretto e non come abbiamo fatto noi dalla fine a metà in ordine cronologico inverso e poi la prima metà in ordine cronologico esatto, forse avrebbe una impressione diversa, a me il museo ha messo una tristezza infinita.
Soprattutto le ultime sale, quelle che racccontavano le varie fasi e i vari successi del socialismo cubano, dalla rivoluzione in avanti. Le foto che magnificavano le strutture ospedarliere e la diagnostica erano foto anni 80, grige e un po' ingiallite, che tutto trasmettevano salvo una sensazione di avanguardia tecnologica. E la tuta del cosmonauta cubano andato nello spazio in una missione congiunta Cuba URSS, tutta rattappita dentro una teca di vetro, che insomma una tuta spaziale mica la puoi pigiare in una teca così. E poi tutte le didascalie di spiegazione in simil - trasferello e i grafi a torta colorati in simil evidenziatore.
Le prime sale invece erano quelle che spiegavano la genesi della rivoluzione, i primi tentativi, il movimento del 26 di luglio, lo sbarco del Granma and so on. Vestiti e scarponi di Castro , abiti di guerriglieri caduti, con fori di proiettile e sangue rappreso. Plastici vari illustranti le fasi degli scontri salienti nonostante il mio passato di giocatrice di risiko, altamente incomprensibili.
Più accattivante il padiglione Granma, un padiglione in vetro all'interno del quale era custodito appunto il Granma, lo yacht con cui i fratelli Castro, Camilo Cienfuegos, Guevara ed altri innumerevoli guerriglieri naufragarono sulle spiagge di Cuba per dare inizio alla rivoluzione. Attorno al padiglione, vari camioncini blindati, aerei nemici e i missili sovietici della crisi di cuba del 1962.
Il Maleçon
A proposito di luoghi che stringono il cuore, anche il lungomare della Havana mi ha fatto questo effetto.
Venendo dal paseo del Prado, città vecchia, si ha uno scorcio del lungomare, con i suoi palazzi in stile diversi, sempre più alti e moderni mentre da la Havana Vieja si sposta lo sguardo verso il Vedado. Lo scorcio è indubbiamente accattivante. Il mare blu si rompe in volute di schiuma infrangendosi sugli scogli e sul muro che delimita il lungomare, le macchine d'epoca sfrecciano coi finestrini aperti verso lo skyline. Poi però uno decide di approfondire l'indagine e di incamminarsi verso il quarteiere turistico del Vedado, nella speranza di prendere un gelato da Coppelia e intruffolarsi all'Hotel Nacional o all'Habana Libre.
Il percorso è lungo e assolutamente sconsigliabile a chi indossa sandali aperti, ancorché anatomici (come la sottoscritta). I marciapiedi infatti non fanno eccezione allo stato di mala conservazione degli edifici adiacenti e sono ricchi di buche, mucchi di sabbia, sassolini e quantaltro possa insinuarsi fra la pianta del piede e la superfiecie interna del sandalo. Gli edifici sono scrostati e cadenti a causa dell'equazione letale salino + inquinamento ai quali si aggiungono i fattori "periodo speciale" ed embargo.
Paradossalmente nel mezzo del nulla c'è un lindissimo e modernissimo café Fiat e verrebbe da fare della facile ironia sul fatto che L@po sentisse il bisogno di aria di casa quando passeggiava sul Maleçon ed abbia pensato che altri putt@nieri italiani in trasferta avrebbero sentito la medesima necessità.
Arrivati infine in zona Hotel Nacional, eravamo storditi dal sole e della camminata quindi abbiamo rinunciato ad introdurci furtivamente nella lobby ed anche a proseguire fino al gelataio, abbiamo riposato seduti sul muretto, ci siamo presi degli schizzi nella schiena e infine abbiamo fatto la posta ad un cocotaxi che ci riportasse al Capitolio.
Capisco il facino dell'infrattamento notturno sulla muraglia del Malecon, con i lampioni ad effetto vedo non vedo, meno quello decadente dell'intonaco scrostato, tanto più che gli edifici in zona Vedado sono moderni palazzoni a più piani. Sarà che nella mia testa il fascino dei lungomari risiede nella schiera colorata delle casette dei pescatori che le costeggiano.

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