30.1.04

Martedi' sera sono andata a teatro a vedere uno spettacolo di un autore spagnolo, Note di cucina di Rodrigo Garcia.
Sono rimasta abbastanza perplessa. Io sono tipo da Avaro di Moliere o da Dodicesima Notte di Shakespeare. Mi piaceva Gasmann che leggeva la Divina Commedia, gli spettacoli di Dario Fo e/o Franca Rame. Mi piacciono gli adattamenti teatrali di Benni. Cose classiche o cose divertenti.
La recensione dello spettacolo recitava :
"Due amici cucinano attorno ad un tavolo, tra fornelli, pentolame, verdura, carne olio e tutto il necessario che gli occorre per prearare i loro piatti preferiti. Una ragazza che ha una relazione con uno di loro assiste alle schermaglie dei due amici che cercano di superarsi nell'arte culinaria. ... Si cucinano tutto quello che vedono,cio' che li circonda.Mettono tutto nel pentolone e mischiano parole e dolore. ..."
Pensavo che con la scusa della cucina raccontassero delle storie, ci fossero dei dialoghi, che le storie si intrecciassero che ci fosse una capo ed una coda. O almeno un capo e una via e che il finale fosse aperto.
Invece mi e' sembrato di vedere una serie di monologhi poco correlati fra loro, piu' o meno deliranti, piu' o meno sensati. Il cibo era violentato in diversi modi, sugli schermi che circondavano il palco venivano proiettate a tratti immagini di macellazione o cibi decomposti, mosche.
Lo scopo dell'autore, come ho scoperto solo dopo leggendo sulla locandina estratti del suo credo artistico, non era quello di inventare una storia, ma fornire spunti, stimolare il dibattito interiore dell'ascoltatore. Avendolo saputo in anticipo forse, si sarebbe potuto subodorare qualcosa sul tipo di allestimento e probabilmente rimandare la mia uscita teatrale annuale a spettacolo piu' consono.
Mi sa che sono una perbenista anche in fatto di opere teatrali. Che sia commedia o tragedia voglio un intreccio, dei personaggi definiti, un climax, una conclusione. Mi vanno anche bene i monologhi purche' raccontino storie.

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