6.10.03

Della precarieta' e suoi derivati.
Ci sono giorni in cui mi trovo a fare il "punto della situazione" con gli amici sullo "stato di avanzamento" delle nostre vite.
Parrebbe che il comune denominatore sia la precarieta'.
Non e' un argomento nuovo, leo lo ha trattato molto e sicuramente meglio di quanto posso fare io.
A. ha una (miserrima) borsa di studio, in un laboratorio dove se uno ha la mononucleosi deve scusarsi se fa solo otto ore. In un laboratorio dove ci sono persone che per la stessa miserrima cifra vanno a lavorare anche il sabato e la domenica e in settimana fanno 10 ore al giorno. Vorrebbe prendersi una macchina e un pc, ma siccome vorrebbe un lavoro stabile e siccome non esclude la possibilita' di emigrare, resta nel limbo dell'attesa di vedere cosa gli riservera' il futuro. Delle volte si pensa che chi fa ricerca sia un privilegiato, perche' sicuramente lavora in un campo gratificante e viene pagato per studiare. Il problema della "condizione privilegiata" di chi fa ricerca e' diverso,chi fa ricerca viene da una famiglia che puo' permettersi di sostenere un figlio ben oltre la fine del suo corso di studi. Perche' con un dottorato o un assegno di ricerca non si mantiene una famiglia e ancora peggio non si mantiene se stessi. E dopo un po' e' naturale che uno voglia farsi una sua vita, una sua famiglia e che quindi vada alla ricerca di un "lavoro vero". Tanto piu' che alcune volte il mondo della ricerca di la' dall'essere nobile e puro, avendo bisogno di fondi (la vile pecunia) si riduce a essere generatore di fuffa, quanto il cosi'detto mondo del lavoro.
F. ha un COCOCO in una ditta farmaceutica, le rinnovano il contratto ogni tre mesi. E' fuori citta' e fra viaggi e affitto all'incirca fa il pari con quello che guadagna.
A. prende un assegno di ricerca, anche lui e' fuori citta' e ogni mattina fa i km per andare in ufficio. Il lavoro non e' esattamente quello che si aspettava e non e' sicuro se debba sperare che gli rinnovino il contratto.
Io sono la piu' stabile, vivo stabilmente da lunedi' a venerdi' a Milano da ormai quasi 4 anni, la vita del pendolare settimanale. La mia posizione lavorativa e' stabilmente fissata su di un lavoro che non mi da' grosse ( e nemmeno piccole) soddisfazioni, ne' dal punto di vista dell'esperienza, ne' tantomeno da quello economico.
Mi fermo con l'elenco, ma anche scorrendo la restante lista di amicizie e conoscenze il panorama migliora di poco. Sono forse due o tre le persone di mia conoscenza con un lavoro stabile e piu' o meno soddisfacente.
Fra due anni avremo 30 anni e non so chi fra di noi riuscira' a dare una svolta alla sua esistenza prima del fatidico traguardo.
Quanto e' colpa nostra, quanto delle condizioni al contorno?
In cosa sbagliamo? Cosa c'e' che non va nelllo sperare di essere reribuiti in base alle proprie capacita' tecniche e in base al lavoro svolto? Perche' se uno non sgomita, non frega il suo prossimo, non lecca il culo ( e scusate il francesismo) e' destinato, per ben che gli vada, a rimanere a fare un lavoro del cavolo e sottopagato?
Evidentemente c'e' qualcosa che non va in noi, siamo troppo utopisti e, quel che e' peggio, ci diamo ragione l'un con l'altro. E stiamo fermi nella nostra precarieta' economica, affettiva, dei luoghi, della soddisfazione, ci gongoliamo del nostro essere diversi, del nostro avere valori diversi, del nostro non essere arrivisti, del nostro amare le cose semplici (oddio sembra lo spot del mulino bianco).
Invece dovremmo metterci il tailleur e i tacchi a spillo, il doppiopetto e la cravatta, essere arroganti e arrivisti e soprattutto foderare lo stomaco con un doppio strato di pelo.
Non c'e' speranza, ragazzi rendiamoci conto I NERDS SIAMO NOI, con i nostri sogni e i nostri desideri, non chi sta dieci ore in laboratorio per pubblicare un articolo in piu' o chi vende fuffa al suo prossimo.

I VERI NERDS SIAMO NOI!!!!

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