2.7.10

Anche questo riciclone di quanto scritto sul faccialibro.
Il guardiano del faro
Lo conosciamo il giorno della fallita caccia all'alba, dopo esser stati scacciati dalla location vicino al cimitero, quando decidiamo di salire fino al faro per vedere se offre una buona visuale dell'alba sulla città.
Appurato che la vista a Est è aperta Mao – vista la brutta esperienza da cui siamo reduci – gli domanda se è possibile salire al faro verso le sei del mattino e restare lì a riprendere il sole che sorge. Lui non ha controindicazioni e dice che avvertirà il collega che presta servizio notturno dal momento che lui arriva alle sette. Chiede una mancia per entrambi.
Lo rivediamo dopo due giorni, lo vediamo sbucare a piedi da dietro la curva che porta al piazzale del faro. Ci dirà che abita a Ouakam e che viene al lavoro prendendo un ndiaga ndjae.
E' originario della Casamance, ha moglie e un figlio -uno solo perchè la vita è cara - che sono laggiù.
Prima di essere assunto dalla società che si occupa della sicurezza al faro, lavorava come autista per una ditta belga. Non guadagnava male e poteva mantenere moglie e figlio a Dakar, poi la ditta ha chiuso e si è ritrovato per strada. Ha rimandato la famiglia al villaggio e ha trovato lavoro come guardiano del faro. E' dura -ci spiega- perchè ha un solo giorno di riposo alla settimana il giovedì e l'orario di lavoro è lungo. Qui a Dakar è in compagnia dei suoi fratelli, hanno affittato una stanza ciascuno in un appartamento. Uno dei fratelli sta studiando, l'altro lavora anche lui come guardia per una società che si occupa della sicurezza negli ospedali.
La famiglia la vede una volta ogni due mesi, quando ha soldi a sufficienza per tornare.
Mao gli chiede cosa ne pensa del monumento del rinascimento africano e lui esordisce dicendo che costruire i monumenti è una cosa buona, ma che spendere miliardi di soldi pubblici per un monumento senza senso, in un paese dove molta gente non ha lavoro ed anche chi lavora fa fatica a mantenere la famiglia è una cosa stupida, non è giusto. “Ce monument c'est zero!” è il commento letterale.
Poi Mao gli chiede cosa pensa del movimento indipendentista della Casamance e se ha mai conosciuto qualcuno che ci abbia militato.
Lui non è d'accordo sull'indipendenza, dice che se si facessero investimenti per sfruttare la ricchezza della regione, tutto il Senegal ne guadagnerebbe. Ci dice che con i soldi spesi per costruire la statua si sarebbero potuti costruire molti bacini idrici per evitare le inondazioni nel periodo delle piogge e consentire alla gente di continuare a lavorare anche in quei mesi.
Invece la Casamance viene sfruttata come una riserva, i manghi ad esempio vengono raccolti ancora verdi e portati a Dakar, un mango che al paese di origine costa 25 cfa, una volta arrivato in città arriva a costarne 300 e chi li coltiva ci guadagna pochissimo.
Dice che ha conosciuto una sola persona che ha è andata nella giungla per unirsi alla guerriglia, era una promessa del calcio e se non l'avesse fatto magari adesso starebbe giocando ai mondiali, invece ha deciso di unirsi alla lotta armata.
Mao gli domanda se fa ancora parte dei guerriglieri, ma lui dice che no è stato ammazzato dopo pochi mesi, forse un anno, durante una retata dell'esercito. Uno dell'esercito ha poi riconosciuto il cadavere ed ha avvertito la famiglia così – se non altro – ha potuto avere una degna sepoltura.
Quando ce ne andiamo Mao gli lascia dei soldi e lui ringrazia dice che per lui è una grande cosa. Poi aggiunge che comunque i soldi non sono la cosa che conta e che della giornata la cosa che si porterà a casa è l'averci conosciuto ed avere parlato con noi.

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